È abbastanza difficile descrivere i lavori di Stefano Napoli perché, per la cura e gli studi che il regista dedica a ciascuna delle sue opere, è sempre necessario risalire ai molti riferimenti culturali che ne hanno influenzato (o determinato) la struttura. Se per la fruizione delle fantasmagorie realizzate dai tableaux vivants create dal regista non sono necessarie conoscenze artistiche preconcette, queste sono, viceversa, utilissime nel caso in cui si debba recensirle.
Non fa eccezione a questa indicazione di massima anche la nuova realizzazione della compagnia Colori Proibiti ovvero Vanity Dark Queen – Niobe regina di Tebe che porta in scena il mito di Niobe, figlia di Tantalo, sorella di Pelope e moglie di Anfione. Niobe divenne madre di sette figli maschi e di sette figlie femmine e, a seguito di ciò, si inorgoglì talmente tanto da definirsi addirittura madre migliore anche delle dee. Latona, madre di Apollo e Artemide, se ne risentì e per punire tanta superbia ordinò ad Apollo di uccidere i figli di Niobe e ad Artemide di occuparsi di fare altrettanto con le figlie. Niobe, compresa la sua colpa, si trasformò in pietra ma rimase fissa nell’atto di piangere.
Molti sono gli esempi plastici che ne riproducono il mito. La sala della Niobe, ad esempio, al Museo degli Uffizi di Firenze, custodisce dodici gruppi marmorei, rinvenuti a Roma nel XVI secolo. Tra questi, il manufatto più noto è sicuramente quello della madre nell’atto di difendere col suo corpo la figlia minore. Per la pittura risulta indicativo il dipinto di Jeaques-Louis David che, con la tela Apollo and Diana Attacking the Children of Niobe (in mostra al Dallas Museum of Art, negli Stati Uniti d’America), ricostruisce un “fotogramma” dell’orrenda strage.
In letteratura, tra i principali classici di riferimento Le metamorfosi di Ovidio assieme all’Iliade di Omero e, infine, alla Divina Commedia di Dante che usa il mito come esempio di superbia.
Vanity Dark Queen è strutturato in 18 quadri e, partendo dalle indicazioni delle note di regia, instaura un dialogo con lo spettatore inseguendo le sensazioni che lo stesso autore ebbe visitando gli Uffizi. Ecco, infatti, che, in scena, vediamo rivivere il mito della Niobe inseguendo, col pensiero, la statuaria osservata dallo sguardo curioso di una “turista” che fotografa, in scena, gli eventi.
È un linguaggio artistico multiplo quello usato per l’occasione. Ritroviamo la parodia, la clownerie, la pantomima e, ovviamente, il teatro danza ma senza che nessuna di queste “espressioni” prenda il sopravvento sulle altre. Sembra di assistere ad uno spettacolo scritto in una sorta di esperanto visivo. Ci sono “parole” che traggono origine da molte “lingue” ma ciò che ne scaturisce è un metalinguaggio che se è erede di tutte le forme che lo costituiscono non è debitore di nessuna in particolare. Il voler “investigare” una figura mitologica femminile, trasmutandola in mito queen, costituisce un ulteriore elemento di ricerca comunicativa. Il lavoro può essere fruito sotto forma di spettacolo multi level lasciando a ciascuno la possibilità di godere ciò che vede in base alle proprie conoscenze pregresse oppure basandosi soltanto sulla propria emotività.
La composizione scenica è accompagnata da una scelta musicale estremamente curata che orienta “descrittivamente” attori e spettatori allo stato emotivo del quadro che si materializza.
Vanity Dark Queen – Niobe regina di Tebe
Compagnia Colori Proibiti
regia Stefano Napoli
con Paolo Bielli, Francesca Borromeo, Alessandro Bravo, Giacomo Galfo, Simona Palmiero, Luigi Paolo Patano.
Solisti del Teatro, Accademia Filarmonica Romana, Roma, 22 agosto 2022.