Verdecoprente: la residenza di Viti e Giannini è anche un festival diffuso di Carlo Lei

Foto di Rossella Viti

Nel 2011 l’avventura di Rossella Viti e Roberto Giannini, già uniti oltre che nella vita anche nell’arte sotto la bandiera dell’Associazione Ippocampo e Vocabolomacchia teatro.studio, si arricchisce del ruolo di ideatori della residenza artistica Verdecoprente, per la quale sono passati centinaia di artisti e artiste fino a oggi. L’appassionante e antiaccademico volume a cura degli stessi, Verdecoprente book, edito nel 2022 dall’Associazione Ippocampo, è testimonianza di immagini e parole di quel percorso. I paesi del territorio umbro-amerino (Alviano, Amelia, Giove, Guardea, Lugnano in Teverina, Montecchio e altri) da quel 2011 accolgono opere ai loro primi passi o nel pieno del loro sviluppo creativo. Ad accompagnarle silenziosamente, oltre alle sale museali, a quelle scolastiche, agli spazi pubblici, privati, naturali, antropizzati, ai borghi conservati e riportati a vita nuova della provincia ternana, lo sguardo dei due ospiti. Ogni residenza si conclude tradizionalmente con un’apertura al pubblico locale, messo di fronte di volta in volta a un passaggio di un percorso la cui ospitalità ha consentito lo sviluppo, in una silenziosa ma tenace opera di inclusione degli abitanti nel percorso delle arti performative e visive contemporanee.
Dal 2012, poi, il piccolissimo gruppo di Ippocampo (lei ex insegnante e sportiva, attrice, regista, fotografa, un volto da ragazza sotto i capelli grigi; lui pittore e attore, burbero al primo impatto, silenzioso, poi subito dolce in un sorriso di benvenuto) è riuscito a mettere in piedi un festival, che è, per la sua durata non trascurabile, quest’anno da aprile ad agosto, una sorta di piccola stagione diffusa sul territorio, e che prova a raccogliere un piccolo pubblico dai borghi e dalla campagna umbra. A aprile si è cominciato con la storica Zizola del 2007, tratta da una fiaba popolare presente anche nella raccolta calviniana, si è poi proseguito con altri lavori di teatro e danza per l’infanzia, Matutateatro e Teatro dei Due Mondi, esperienze nel territorio e una tappa di Orienteering Drama, il format creato da Ippocampo che unisce la scoperta di un luogo con la fruizione digitale di frammenti drammaturgici, e andranno avanti fino al 2 agosto con Al passo, un percorso degli stessi Giannini e Viti con  Associazione Artéco, Vigevano Web e FKL (Forum Klanglandschaft).
Capitiamo a Lugnano in Teverina a cavallo di un gruppo di date che vede impegnati Michele Pascarella, critico e operatore teatrale, e Azul, il duo formato da Serena Gatti, poetessa, attrice, studiosa e Raffaele Natale, attore e musicista. Le colline umbre ci accolgono con le loro curve placide, gli uliveti alternati ai boschetti e ai campi coltivati a grano. Una strada bianca si diparte dalla Statale Amerina, il navigatore inflessibile ce la indica. Icaro di Azul è rappresentato all’eremo francescano di Santa Illuminata, recentemente ricostruito, che sorge quasi candido nel territorio di Guardea, sulle pendici del monte Civitelle. Il sole lentamente cala dietro l’edificio e una fresca, nuova ombra sommerge la piccola platea, preludendo all’imbrunire, che giungerà mentre ancora si caricano gli ultimi stativi e i cavi arrotolati. Ma ora Icaro: il lavoro, con sottotitolo Liturgia lisergica del dissenso si mostra, anche in questa forma di frammenti lirici, ridimensionata dal palco all’aperto e dall’illuminazione tutta naturale, in una sorta di intervista impossibile, porta all’Icaro del mito (in scena agito da Gatti in giacca da aviatore, stivali e cuffia in pelle) e dallo speaker di “Radio falling stars” (Natale), fornito di tutti i cliché del caso.

Foto di Rossella Viti

In scena, oltre ai due corpi e al tavolo della consolle di lui, solo una grande sfera di plastica trasparente, che sembra una bolla di sapone poggiata sul prato e sulla quale l’attrice siederà, ormai, dopo la morte, più leggera che mai, e un paio d’ali di rame, che vestirà nel finale. Il dissenso dichiarato dal sottotitolo è un’aperta dichiarazione di inattualità: Icaro, o l’anima parlante, eterna del personaggio-mito, perdente, «vuole perdere», vuole «scoprire nella vita un’altra vita», è portatore di una dolce e ardente filosofia anti-utilitaristica e insieme gratuitamente vitalistica: è la creatura che parla in versi, quelli della poetessa Gatti, e che nella sconfitta e nel volo nell’«alto cielo aperto» (parafrasi di un altro inarrestabile cercatore di esperienze), ha sfidato il territorio inattingibile non per tracotanza ma per desiderio di vivere l’estasi dell’esistenza fino all’ultima goccia. Questo innamoramento della vita, che è di volta in volta banalizzato, e per questo reso più potente dagli interventi del dj, a cui non mancano nemmeno gli intermezzi pubblicitari di improbabili prodotti consumistici, non può che riportare in scena, anche se di passaggio, la figura aleggiante del Pasolini di Poesia in forma di rosa, (la sua torre di Chia non è poi così lontana da queste contrade) che dichiara: «Io sono una forza del Passato», quel «feto adulto» che, nei versi di Gatti, con un’assertività fertile e negativa invita: «prova a esser il mostro che sei», sulle note di Shine On You Crazy Diamond dei Pink Floyd. Insomma, l’estasi, la lezione intima si consumano nell’Icaro di Azul come un vivo atto testamentario, una volta di più ripetuto nei versi di Serena Gatti, di un mito che si fa immortale proprio nel suo perdersi – come spesso accade.
La mattina successiva sarà Michele Pascarella a guidarci in una sua Passeggiata dadaista, ispirata a quell’unica esplorazione urbana (così la si chiamerebbe probabilmente oggi) guidata nell’aprile del 1921 dal gruppo parigino di Tristan Tzara, partito da Saint -Julien- le- Pauvre insieme ad Aragon, Breton e altri, sotto un diluvio assai poco invitante. Quella del critico e studioso forlivese è per l’appunto un’azione tutta particolare di performance “del” territorio, in cui il corpo e la sensorialità del passeggiante si fanno condizione indispensabile per l’emergere di dettagli, di forme impreviste, di segnali solitamente inascoltabili del mondo circostante. Non è dunque la bellezza del luogo prescelto, nel nostro caso il prezioso centro storico di Lugnano in Teverina, a caratterizzare la riuscita dell’esperienza; conta invece l’attivazione dello spettatore alla percezione multisensoriale. In una lezione preliminare, Pascarella inserisce di fatto la propria performance su una linea storicamente segnata dal rapporto tra il soggetto e il paesaggio, esordendo con quattro Madonne di Giovanni Bellini, dipinte a distanza di circa un decennio l’una dall’altra. In quei quadri è evidente come il fondo dorato gotico lasci emergere porzione per porzione il paesaggio, e anzi come esso si sporga inizialmente per due losanghe verticali, poi chieda ai soggetti di squintarsi per consentire una prospettiva lontana con un colle, infine arrivi ad allargarsi fino a immergere in sé pienamente Maria e il Bambino. Questa dinamica tra soggetto e contesto si allarga, nella breve e appassionante lezione, fino a relativizzare da un altro scorcio l’opera, a metterla stavolta di fronte al ruolo di chi la riceve, cioè l’osservatore. A essere citata ora è l’installazione Yard di Allan Kaprow (1961 la prima edizione), in cui non solo lo spettatore ha ruolo attivo (doveva attraversare un chiostro inondato di copertoni per giungere a una stanza vuota), anzi è esso letteralmente ad attivare l’opera, che non esisterebbe senza la sua azione fisica di passaggio.

Foto di Rossella Viti

Ecco, insomma, la richiesta di Pascarella ai partecipanti: essere soggetto attivo di percezione e dunque di creazione, recuperare il senso pieno di un’esperienza estetica, cioè un’attività di conoscenza in cui lo sguardo e gli altri sensi sono insieme percettori, attivatori, creatori, il tutto applicato all’oggetto-paesaggio.
Usciamo dalla nostra aula, la guida ci mette in fila indiana, elenca una serie di regole severe ma indispensabili e come una scolaresca d’altri tempi, silenziosa, compunta, sorridente, serpeggiamo per i vicoli di Lugnano. Ogni cinque minuti suonerà una campanella, il capofila lascerà il passo al secondo, che leggerà un bigliettino con una consegna: ora sarà “cercare qualcosa di giallo”, ora “chiudere gli occhi e lasciarsi guidare da un altro partecipante”, ora “concentrarsi sugli odori”, o “sulla percezione delle piante dei piedi”. In questa dimensione dolcemente scolastica, che la lezione iniziale ha impostato senza traumi, e insieme seriamente responsabilizzante, gli spettatori/partecipanti si imbattono inevitabilmente, poiché la realtà se lascia provocare da chi lo faccia seriamente, in una serie di minuscole epifanie. Ora è la tangibile relatività del tempo (i cinque minuti, benché cronometrati non sono mai della stessa lunghezza), ora vere e propri regali (un altare celeste dalla toppa di una porta di chiesa serrata, a cui ci accostiamo per sbirciare) ora cortocircuiti che suggeriscono la capricciosa potenza del circostante (in un paese completamente lastricato all’estrazione del biglietto “evitate l’asfalto” si presenta immediatamente l’unica strada coperta di bitume), segnali oltremondani (da un televisore in un appartamento la voce della messa domenicale: «i vostri passi sono guidati dal Signore» proprio mentre procediamo a occhi chiusi, scortati da un compagno), ribaltamenti di prospettiva suggeriti da un accorto maestro (l’ultimo capofila, Roberto Giannini, all’indicazione “andare alla ricerca di qualcosa di tondo” dopo cartelli stradali, finestre, rosoni, finisce con l’arrotolare la nostra fila indiana in un circolo, nel pronao di Santa Maria Assunta, la chiesa parrocchiale di Lugnano).
Tornati alla base accaldati, da una borsa frigo Rossella fa saltar fuori bottiglie di acqua ancora fredda e ciambelline al vino spolverate di granelli di zucchero.

Elaborazione grafica di Rossella Viti