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La Medea di Paiato-Sepe: un esempio di autentica bellezza

di Letizia Bernazza

Mi ha emozionata, commossa, tenuta incollata alla poltrona per l'intera durata dello spettacolo, Maria Paiato calata magistralmente nei panni della Medea di Seneca. Certo, non aggiungo nulla di nuovo alla straordinaria capacità interpretativa dell'attrice veneta, apprezzata dalla critica e dal pubblico sin dai suoi esordi. Ma, credo che la Paiato abbia dato prova di qualcosa in più nella messinscena diretta da Pierpaolo Sepe (un sodalizio felice e dai risultati eccellenti, basti pensare ai due capolavori, rappresentati di recente: Erodiade di Giovanni Testori e Anna Cappelli di Annibale Ruccello): ha saputo incidere sul proprio corpo i segni distintivi della protagonista della tragedia. Una donna sola, depressa e irascibile, incapace di contenere il tradimento del suo Giasone al punto da orchestrare con mostruoso calcolo, l'uccisione dei loro figli. Una vendetta crudele, finalizzata a colpire il marito, il quale l'abbandona per la giovane figlia di Creonte – Creusa - re di Corinto.

Maria Paiato attraversa la complessa opera di Seneca con una costante e consapevole presenza scenica, in cui le azioni fisiche esprimono con misura o con dovuto eccesso l'andamento emotivo maturato da Medea. E per lo spettatore non c'è tregua, perché il pathos è tale da divenire virale e da non concedere pausa alcuna. Al di là della trama, infatti, a coinvolgerlo è il movimento ininterrotto, il flusso vocale e gestuale dell'attrice (alla quale fanno da contrappunto gli altri bravi componenti del cast), che dà ritmo e spessore al personaggio principale oltre che allo sviluppo della storia. <<… noi oggi abbiamo bisogno di agire>>, ha dichiarato Maria Paiato in diverse interviste, <<il nostro tempo è più veloce, ritmato, cadenzato e quello di Seneca suona come un teatro letterario, fatto di fiumi di parole e lunghissimi elenchi di divinità. Per questo abbiamo operato dei tagli e la traduzione e l'adattamento di Francesca Manieri cercano espressamente di avvicinarsi al pubblico che non conosce quel mondo>>. L'agire diventa, allora, la capacità da parte dell'attrice di restituire il magma emotivo che travolge Medea e che la rende estranea al Mondo, consegnato alle tenebre del caos, dove si annullano le relazioni interpersonali e si distruggono gli affetti più cari. L'umiliazione subìta da Giasone e lo scontro derivato dal rapporto potere-amore lacerano in maniera indelebile l'anima di Medea. La sua rabbia provoca una sofferenza inarrestabile e una violenza incontenibile, testimoni di una donna che è vittima e carnefice di se stessa, ma anche di un sistema di potere che ha annullato la sua identità, costringendola ad atti efferati. E questa rabbia è espressa per l'intera durata dello spettacolo dagli sguardi strazianti della Paiato; dai suoi gesti ieratici dominati da una prepotente energia che enunciano il suo supplizio; dai suoi movimenti carichi di dolore, cui corrisponde metaforicamente un grande stanzone con i vetri rotti, simile ad un'ex-fabbrica grigia e desolata, che rivela il degrado contemporaneo.

Impossibile, infatti, non andare con la mente e con il cuore al decadimento della nostra società, alimentata ormai da abusi e da prevaricazioni politiche che non lasciano scampo alla libertà degli individui, minandone sentimenti, emozioni e dignità. Non è casuale, allora, che alla Medea di Seneca si uniscano alcune poesie dei prigionieri di Guantanamo o riferimenti al crollo delle Torri gemelle, proprio mentre divampa l'incendio della reggia di Creonte. Così come non appare secondario il tragico, e quasi ineluttabile, delitto che la donna compie ai danni dei propri figli: essi vengono soffocati dalle mani della madre tinte di sangue. Due esseri indifesi - stilizzati su due fogli di carta, dunque simbolicamente già morti - che sono destinati a pagare per colpe mai commesse. Malgrado, però, la tragica e inevitabile fine del dramma, credo che siano proprio la bellezza e la purezza, trasmesse da una messinscena tanto ben fatta e riuscita, a comunicare agli spettatori la forza vitale, autentica, del Teatro e della sua capacità di far immaginare realtà diverse.

 

(Teatro Eliseo, Roma, aprile 2014)

Medea

di Seneca

traduzione e adattamento di Francesca Manieri

regia di Pierpaolo Sepe

con Giulia Galiani, Max Malatesta, Maria Paiato, Diego Sepe, Paolo Zuccari

scene Francesca Ghisu

costumi Annapaola Brancia D'Apricena

luci Pasquale Mari

Spettacolo in tournée

@foto di PINO LE PERA