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Dal Natale di Eduardo al Natale di Antonio Latella

di Giorgio Taffon

Eduardo attore e regista non c'è più, non lo vediamo più sulla scena da tanti anni, continuiamo a vederlo nelle immagini “piatte” delle riprese televisive, o lo sentiamo parlare in interventi registrati quand'era vivo.

Abbiamo l'Eduardo scrittore, autore, drammaturgo, insomma, che ha scritto molti testi, alcuni dei capolavori, come Natale in casa Cupiello , i cui tre atti potrebbero andare in scena autonomamente l'uno dall'altro (i primi due sono del biennio 1931-‘32, e il terzo del 1943, cioè del nuovo Eduardo della Cantata dei giorni dispari ).

L'intreccio del testo è così conosciuto che rintengo superfluo qui riportarlo: mi limito a ricordare i conflitti che scoppiano lungo lo svolgersi della vicenda: Luca è in contrasto con il figlio Tommasino, sfaticato, dispettoso, a cui il presepio che monta il padre non piace; altro conflitto , più sotterraneo, è tra la moglie di Luca, Concetta, e, appunto, lo stesso marito: lei lo accusa di non essere un uomo concreto pronto a rimediare ai guai della famiglia, incapace di dare maggior benessere materiale; anche il fratello di Luca, il malaticcio Pasqualino è in perenne contrasto col nipote che gli ruba di tutto; Ninuccia, la figlia dei Cupiello, che si è sposata col ricco Nicola, spinta dalla famiglia che in questo matrimonio intravvede una possibilità di riscatto economico e sociale, s'innamora di Vittorio: tale relazione porta tutta la famiglia, e in particolare Luca, alla catastrofe, segnando uno iato incolmabile fra la lieta novella evangelica che il presepio ricorda e la dura realtà del vivere quotidiano di una famiglia napoletana anni Trenta-Quaranta, che però Eduardo ripresenterà fino agli anni Settanta.

Ma da ricordare ci sono altri elementi che tipicizzano i personaggi: Luca Cupiello, con la sua idea del presepio come riferimento vitale, è davvero preda di una manìa assoluta; Concetta è il perno della famiglia, è lei che la difende fino alla fine dalla disgregazione; Ninuccia, prima vittima di quello che in un mio libro del 2001 definìi “commercio dei sentimenti”, è l'unica capace a distruggere l'opera del padre. Ha ragione Ferdinando Taviani ad affermare che nel teatro eduardiano il tragico “entra” dentro il comico: è il primo impulso che Latella segue e che lo porta a sviluppare tutto lo spettacolo, mescolando i due ingredienti, ma quello tragico in dosi massiccie, e rispettando sostanzialmente vicenda, personaggi, conflitti. Fondamentalmente Latella si colloca sulla linea della migliore “regia critica” italiana, ma liberando ancor più i linguaggi di scena dall'essere funzionali ad una critica del testo drammaturgico.

Importante è che il protagonista, nel finale, muoia come personaggio “vivo” per entrare definitivamente nella fissità delle figure presepiali, dato che il sogno, la visione, di Luca non sembrano poter divenire reali e veri valori: è un tradimento di Eduardo? Non direi, se si legge la didascalia finale del testo: “Luca disperde lo sguardo lontano, come per inseguire una visione incantevole: un Presepe grande come il mondo, sul quale scorge il brulichìo festoso di uomini veri, ma piccoli piccoli che si danno un da fare incredibile per giungere in fretta alla capanna, dove un vero asinello e una vera mucca, piccoli anch'essi come gli uomini, stanno riscaldando con i loro fiati un Gesù Bambino grande grande che palpita e piange, come piangerebbe un qualunque neonato piccolo piccolo…”.

D'altra parte, il Luca di Latella che muore dentro la grande mangiatoia, forse “aiutato” a morire dal figlio Tommaso, è un Luca che può ri-nascere negli altri, in tutti noi, giusto come pensava Eduardo stesso quando sottolineava che la morte è in realtà una nascita, perché ciò che una persona realizza nel corso della sua esistenza, fino appunto alla sua immancabile morte, al punto d'arrivo, in realtà costituisce il punto di partenza per coloro che verranno dopo di lui: i tanti punti di partenza che tanti uomini lasciano nel loro morire sono la vita che continua, che crea una tradizione sempre pronta a rinnovarsi, conservandosi viva. Luca si trasforma nel Bambino, “natura morta” presepiale, afferma il regista nelle note di regia, ma l'esempio della sua innocentistica bontà può vivificare gli altri.

L'epicizzazione dei personaggi permette agli attori di liberare le proprie azioni sulla scena, seguendo le molteplici “invenzioni” del regista, invece che “mettere in scena” e in azione i personaggi nel loro eloquio, nei loro dialoghi. Tali invenzioni non mi sono quasi mai apparse forzate o incoerenti: dall'enorme cometa che pende minacciosa sugli attori in proscenio, nel primo atto, che coralmente ed epicamente presentano i loro personaggi; alla carretta brechtiana che deve “tirare” Concetta, con un certo che di funereo, da carro funebre, per l'appunto; agli animali espressionisticamente realizzati con stoffe che vorticano tra le mani dei personaggi, animali da “pranzo natalizio”, ma anche animali da schierare all'interno di un ipotetico presepe; fino alla mangiatoia nel terzo atto, letto-di-morte-vita, in un finale seicentesco, di costumi e di luci, richiamante la tradizionale Cantata dei pastori napoletana.

Tutti molto, molto bravi gli attori, quasi sempre in grado di sostenere il dettato registico: strepitosa Monica Piseddu, interprete di Concetta; efficacissimo Francesco Manetti nel variare la fissità caratteriale, e maniacale, di Luca; importante Valentina Vacca, nel dare al personaggio di Ninuccia un'impronta modernissima; abile Lino Musella nel confezionare scenicamente un Tommasino che ci fa dimenticare lo stesso Luca De Filippo, a suo tempo interprete del personaggio.

Ci sono spettacoli molto belli, e spettacoli magari non del tutto belli e compiuti, ma pur sempre spettacoli molto importanti, come mi appare questo Natale in casa Cupiello di Latella. Uno spettacolo che mi ha fatto molto pensare, e mi ha anche commosso in certe scene, in certe sue “trovate”: ma sono, mi si passi ancora il termine, trovate? Uscendo da teatro mi son chiesto se vi sia anche un livello metateatrale nello spettacolo, come molti segnali mi hanno portato a credere, come se anche il destino del teatro sia visto o come presepiale natura morta, o vitale rinascita. Il che spiegherebbe il susseguirsi nello spettacolo di una sorta di continua citazione di varie tradizioni spettacolari e registiche: la recitazione voluta da Ronconi, ad esempio, in Quer pasticciaccio brutto de via Merulana ; il carretto brechtiano (ma anche il carro di Tespi di italica memoria?); il palcoscenico completamente vuoto come nei Sei personaggi pirandelliani; il Seicento napoletano (caravaggesco) della Cantata dei pastori , ma anche lo straniante canto in finale che ci riporta al melodramma giocoso del Settecento; e così pure atmosfere pasoliniane e genettiane. Non credo che questa teoria di citazioni più o meno consapevoli sia un puro e semplice esercizio di bravura che risulterebbe stucchevole: piuttosto credo che Latella ci voglia dire: attenzione, la tradizione, pur rinnovandosi, può finire, perché è il teatro, almeno quello che ancora conosciamo, che sta per morire, come Luca Cupiello: per quanto ancora avremo risorse, interesse, pubblico, nei teatri nostrani, quale l'Argentina? Per quanto tempo ancora un geniale regista potrà far spendere molti quattrini per uno spettacolo che non può e non deve badare a spese quando è di assoluta importanza? Per quanto ancora avrà valore etico e sociale rappresentare su una scena, una tipicizzata modestissima famiglia italonapoletana che nonostante tutti i conflitti dovuti al malessere materiale insegue il sogno di una amorosa affettuosa liberante convivenza?

 

Natale in casa Cupiello di Eduardo De Filippo

regia di Antonio Latella

con Francesco Manetti, Monica Piseddu, Lino Musella, Valentino Vacca, Francesco Villano, Michelangelo Dalisi, Leandro Amato, Giuseppe Lanino, Maurizio Rippa, Annibale Pavone, Emilio Vacca, Alessandra Borgia

drammaturgia del progetto Linda Dalisi

scene Simone Mannino Simona D'Amcio

costumi Fabio Sonnino

musiche Franco Visioli

luci Simone De Angelis

assistenti alla regia Brunella Giolivo Michele Mele

assistente volontario Irene Di Lelio

Roma Teatro Argentina fino all'1 gennaio