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Nessuna conversazione degna di rilievo : l'ultima opera di Roger Bernat al festival di Polverigi

 

di Katia Ippaso

 

 

Nel 2011, Roger Bernat e Yan Duyvendak ebbero l'idea di fare un processo ad Amleto per l'omicidio efferato di Polonio. Lo intitolarono Please, continue (Hamlet) ( Prego, continui, Amleto ), come se un giudice desse la parola all'imputato, messo sotto pressione dal pubblico ministero, sottolineando così l'impianto realistico dell'opera. Quando lo spettacolo arrivò a Roma nel 2014, all'interno di Short Theatre, la cosa fece notizia anche per via della presenza di Giancarlo De Cataldo nei panni di se stesso: il format prevedeva che fossero impiegati, oltre ad attori professionisti, veri magistrati, avvocati e psichiatri. Dopo qualche anno, il regista catalano Rogert Bernat è tornato a fine giugno in Italia con un'altra opera di ‘teatro partecipativo': Nessuna conversazione degna di rilievo , presentata in prima italiana all'interno di Inteatro, il festival internazionale di Polverigi diretto da Velia Papa che si conferma negli anni uno dei più originali laboratori del pensiero intorno alle arti performative e alla loro relazione con il reale .

Sempre al Festival di Polverigi, lo svizzero Yan Duyvendak è venuto a fare una domanda importante: «Qualcuno è disposto a fare qualcosa? E che cosa esattamente?». Azioni si poneva come il risultato scenico, a dimensione aperta, dibattimentale, di un percorso laboratoriale fatto con un gruppo di migranti residenti nelle Marche, e tendeva a coinvolgere gli spettatori stessi per dare risposte concrete al grande tema della convivenza civile, dell'accettazione dell'altro.

 

 

Tornando a Bernat, in questa occasione il regista di Barcellona ha lavorato a fianco del drammaturgo Roberto Fratini. I materiali di partenza erano potentissimi, ed era stato lo stesso Bernat a procurarseli, convincendo gli avvocati a consegnargli 14.000 pagine di trascrizioni di chat, messaggi Facebook, dialoghi telefonici intercettati dalla polizia spagnola nel 2012: tutte le conversazioni tra i terroristi ispano-marocchini andati a combattere per l'Isis in Siria e le loro famiglie rimaste a Ceuta, enclave spagnola nel Nord del Marocco. Questi documenti, come spiega Bernat nell'intervista pubblicata di seguito, sono stati basilari per il primo processo che è stato fatto in Spagna contro fondamentalisti del Daesh, ma il loro interesse teatrale risiede in tutto ciò che agli occhi del potere giudiziario non sembrava interessante. Quando le conversazioni tra i terroristi e i familiari prendevano un tono troppo privato, la polizia ne interrompeva la trascrizione, scrivendo a margine: <<No se registran conversaciones de interés>> (<<Nessuna conversazione degna di rilievo>>).

Nella composizione drammaturgica, questi dialoghi sono diventati un testo a tre piste che le attrici Ernesta Argira, Alessandra Penna e Giulia Salvarani leggono e recitano, collegate in cuffia con gli spettatori, i quali possono scegliere di seguire liberamente una storia o l'altra cambiando semplicemente canale. Il contrasto tra questi dialoghi apparentemente quotidiani e le immagini dei video promozionali dell'Isis che raccontano l'euforica preparazione al martirio, crea in chi partecipa all'evento uno shock cognitivo. Si ha la sensazione di stare tutti a un passo dalla ‘cosa', e che la fascinazione per la morte in se stessa, vista come soluzione identitaria, sia alla fine la chiave del terrorismo di matrice islamica. Le donne parlavano con i loro uomini, alcuni dei quali di lì a poco si sarebbero fatti esplodere come martiri, come se la morte fosse una cosa tra le altre, un banale fatto dell'esistenza. E mentre i combattenti dell'Isis assicuravano alle mogli che un giorno si sarebbero ritrovati in paradiso, le donne, per niente tentate dall'idea di seguirli, si chiedevano chi avrebbe pagato le bollette, come avrebbero potuto in seguito crescere i figli.

Se l'intera opera si fosse assestata su queste corde emotive e intellettive, avremmo concluso che Bernat ha osato spingersi là dove nessun reporter, nessun giudice, nessun testimone si era mai spinto finora. Ma poi il regista sceglie di confondere i materiali dei jihadisti contemporanei con le immagini de La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo, insistendo sulla sequenza in cui tre donne depositano delle bombe in tre diversi luoghi di Algeri, dopo di che ci fa ascoltare una lunga testimonianza di una vecchia ‘resistente' che aveva combattuto nella guerra d''indipendenza algerina. Robert Bernat ha deciso durante le prove a Polverigi, quindi negli ultimi giorni di montaggio del suo spettacolo, di inserire la sequenza del film di Pontecorvo, colpito dalla forza estetica dell'opera. Il suo intento era quello di dire che ‘i mezzi non giustificano mai il fine', ma l'impatto di quel materiale montato come pura giustapposizione di immagini è risultato quanto meno ambiguo. In un'opera di così grande rigore documentario, è un vero peccato che alla fine la linea estetica abbia preso il sopravvento sulla questione investigativa, e che un discorso astorico, fondato su una linea di fascinazione formale, si sia andato e sovrapporre a una ricerca di indubbio valore teatrale e filosofico. Anche dal punto di vista tecnico, lo spettacolo si è andato progressivamente schiantando contro un'approssimazione recitativa delle interpreti, che in certi momenti tendevano a parlarsi addosso, non rispettando i volumi che l'ascolto in cuffia avrebbe dovuto imporre. Lo spettatore è stato lasciato troppo libero di cambiare piste e storie, rovesciando così una intenzione di ‘partecipazione attiva' in una esperienza di gioco innocuo: non è forse lo zapping, nel suo dinamismo convulso, il simbolo estremo di ogni passività spettatoriale travestita da capacità di decisione autonoma? Forse meglio sarebbe stato scegliere fin dall'inizio di seguire un racconto e restare con quella donna e quella storia, per familiarizzare di più con i materiali di scarto – silenzi, omissioni, equivoci – che donavano senso a quelle conversazioni ingiustamente considerate ‘non degne di rilievo' che Bernat ha avuto il pregio di portare alla luce della scena.

 

 

Nessuna conversazione degna di rilievo

di Roger Bernat

con Ernesta Argira, Alessandra Penna, Giulia Salvarani

drammaturgia Roberto Fratini

suono Carlos Gomez

video, direzione tecnica, assistente alla regia Txalo Toloza

prodotto da MARCHE TEATRO in collaborazione con TRIENNALE TEATRO DELL'ARTE

Cinema Italia, Polverigi, Inteatro Festival, 29-30 giugno e 1-2 luglio 2017