Se vogliamo capire l'Isis interroghiamo Walter Benjamin
Conversazione con Roger Bernat
di
Katia Ippaso
Bernat, come è venuto in possesso del materiale processuale che è alla base di Nessuna conversazione degna di rilievo ?
Dopo la sentenza del Tribunale Supremo spagnolo a fine luglio del 2016, alcuni degli avvocati dei jihadisti condannati accettarono di consegnarmi una copia trascritta delle intercettazioni incluse in sommario. Erano 14.000 pagine di conversazioni, chat, descrizioni di video, messaggi Facebook... Con questo materiale decidemmo di dare voce al contenuto verbale di quelle conversazioni (di cui possedevamo solo la trascrizione) come si fa normalmente in teatro. Inoltre molte delle trascrizioni pullulavano di dettagli che trasformavano le intercettazioni in un testo sostanzialmente teatrale. Ci sembrava, tuttavia, che non avesse senso chiedere a un gruppo di attori di incarnare i jihadisti e le loro mogli: la polizia stessa, effettuando le intercettazioni, non vedeva la persona su cui indagava. E le intercettazioni costituivano a loro volta un corpus frammentario, in cui si mischiavano documenti di natura assai eterogenea. Lo spettacolo doveva essere un dispositivo che consentisse allo spettatore di far fronte alla complessità di un sommario e ai suoi paradossi ermeneutici (un sommario giudiziario è un testo preparato per essere interpretato non già in termini teatrali, ma in un senso strettamente filologico); oppure un dispositivo che spingesse quello stesso spettatore a riflettere sui paradossi (morali, esegetici, teatrali) dell'ascolto, perché l'intercettazione telefonica è in un certo senso come origliare: ascoltare chi non sa di essere ascoltato.
Che lavoro di scomposizione e ricomposizione avete fatto assieme al drammaturgo Roberto Fratini?
Ci affascinava, del materiale, il fatto di avere un accesso ‘di prima mano' a fonti e retroscena intimi di un conflitto che in genere riceviamo già formattato e precotto dai mezzi di comunicazione. Avere l'opportunità di leggere ciò che davvero dicevano i jihadisti, ciò che vedevano sui loro computer, ciò che consultavano in Internet, mi metteva davanti a un teatro che mi era sempre stato tenuto nascosto. Non che le frasi dei jihadisti o le loro utenze telematiche fossero interessanti in sé - di fatto non lo sono -. L'interessante era assistere ai meccanismi ‘finzionali' (per non dire teatrali) che conducono alla radicalizzazione e poter riflettere sui modi distinti in cui il conflitto armato si è riprodotto (o ritrascritto) per legittimarlo.
Con quali criteri la polizia valuta una conversazione intercettata e in quale caso la definisce ‘non degna di rilievo'?
Le intercettazioni della polizia finiscono quasi sempre con la frase: <<Si parla di temi familiari privi di interesse>>, o <<Non si registrano conversazioni d'interesse>>, per segnalare il momento a partire dal quale si sospende o tralascia la trascrizione di quanto è stato ascoltato. La legge consente di trascrivere solo le parti di una conversazione privata che risultano rilevanti per il caso. Il criterio in base al quale si decide invece che parte della stessa conversazione privata è passibile di essere considerata rilevante è un altro tema ermeneuticamente affascinante. Nello spettacolo, a differenza che nel sommario, ciò che ha meno importanza è precisamente il caso in sé. Molte delle parole che ascoltiamo appartengono a persone già morte. L'interesse teatrale del materiale risiede propriamente in tutto ciò che ha smesso di essere interessante per la giustizia.
Lei spinge ogni spettatore a seguire una sua personale pista ascoltando tre voci femminili. Sono tutti documenti della realtà o è presente anche materiale ‘finzionale'?
Nello spettacolo si utilizzano le trascrizioni delle intercettazioni telefoniche, dei video di propaganda dello Stato Islamico, un video-testamento salafista e altri materiali mediatici che, benché di origine reale, sono sempre interpretazioni, edizioni. Lo spettacolo è un'approssimazione a modi differenti di spiegare lo stesso fatto, e a maniere divergenti di interpretare la rivolta armata. Non si tratta, qui, di differenziare realtà e finzione, ma di mettere a confronto diversi dispositivi critici: dalla panoplia dei mezzi propagandistici dell'Islam radicale al compromesso politico del cinéma-vérité. E tutto questo si fa con gli strumenti con cui lavorano in genere gli inquirenti, abituati a offrire una visione frammentaria della realtà. Molti investigatori lavorano su un solo caso, e un solo giudice o pool di giudici stabilisce il verdetto. E benché negli spettatori sia forte la tentazione di essere giudici, in questo spettacolo saranno solo e irrimediabilmente poliziotti. Dovranno accontentarsi di una visione frammentaria della realtà che è probabilmente la forma più fedele al vero, perché quella elaborata dai giudici non smette d'essere una finzione.
Cosa spinge questi giovani uomini a scegliere il sacrificio e a lasciare moglie figli, tutto, per seminare il terrore? È una questione identitaria? Diseguaglianza sociale? Puro odio verso l'Occidente? Fascinazione per la morte?
Walter Benjamin azzeccò già negli anni '30 una diagnosi che può applicarsi senza variazioni all'attualità: le disuguaglianze sociali generano tensioni destinate a sboccare in episodi di violenza passibili molto spesso di essere capitalizzati da ideologie fasciste. Non c'è fascismo, insomma, che non sia il sintomo e il risultato di una rivoluzione mancata. L'islamismo radicale in Medio Oriente, il trumpismo negli Stati Uniti e il razzismo o i neofascismi in molte parti d'Europa non sono che ideologie di facile consumo e di massima ‘audienza' per classi sociali disposte a reagire ‘acidamente' a situazioni di ingiustizia sociale.
Questi uomini dicono alle loro mogli frasi come: «Ci ritroveremo in Paradiso, se Dio vuole», «Devi sentirti onorata se morirò», «Nell'altra vita, se Dio vuole, sarai La Signora». Questo è l'immaginario dei mariti/martiri, che sembra non essere condiviso dalle loro mogli. In una di queste intercettazioni, una giovane sposa dice: «Io non posso essere una martire perché ho due bambini e sono depressa». Quale futuro attende queste donne?
Dopo la morte dei rispettivi mariti e fidanzati, quelle donne hanno vissuto momenti che potrebbero far pensare a un certo grado di emancipazione. Hanno abbandonato per qualche tempo il loro ruolo di spose e madri a tempo pieno e si sono viste obbligate a collaborare con la polizia, a trovare un lavoro per andare avanti, ad abbordare nuove relazioni sentimentali, a interpretare il ruolo della vedova del martire... È fin troppo noto il talento dei poveri a teatralizzare la loro vita e a minimizzare i rigori o i gesti di controllo cui li sottomettono i poteri costituiti. La molteplicità dei ruoli che devono interpretare queste donne dopo gli attentati è in qualche modo una dimostrazione di questa forma di emancipazione, basata in parte sulla libera facoltà di mentire. Non sarebbe improprio immaginarle come delle nuove Sheherazade: protette (o imprigionate) da un labirinto di affabulazione. Sfortunatamente, quest'ultima risposta è solo una fantasia. L'unica vedova che siamo riusciti a contattare non ha voluto concedere interviste e non sappiamo nulla della realtà di quelle donne a cinque anni dalla scomparsa dei loro mariti.
Oscurantismo e nuove tecnologia sono grandi alleati in queste nuove guerre. Youtube, Facebook, sono strumenti micidiali di fascinazione e autoesaltazione…
La maniera più semplice di sintetizzarlo è pensare all'universo telematico come a un oppiaceo il cui effetto è una stasi dormiente piena di sogni, fantasie, deliri, incubi d'azione. Il ‘passage à l'acte' (usiamo la formula di Lacan) di chi prende le armi afferrandosi al pretesto di una missione assoluta è l'espressione, squisitamente fascista, non di una chiarezza d'intenzione o risoluzione, ma di un'assoluta incapacità di chiarire o risolvere checchessia. Il delirio, il videogioco, semplicemente si arricchisce di una nuova dimensione, che lo rende se possibile ancora più persuasivo. Il dormiente ‘si sveglia' in un sogno ancora più oscuro.
Quale è la sequenza cronologica dei fatti giudiziari su cui si basa il suo spettacolo?
Nel 2012 tre cittadini maschi di Ceuta si recarono in Siria clandestinamente. Avvisata dalle famiglie rispettive, la polizia intercettò i telefoni di mogli e amici. Nelle intercettazioni gli uomini confessarono che non sarebbero tornati. Dopo qualche settimana, le famiglie vennero informate del fatto che i tre uomini si erano immolati, provocando decine di vittime. Sulla base di queste intercettazioni, la polizia arrestò 11 persone accusate di far parte di una cellula jihadista pensata per facilitare i viaggi in Siria. Queste 11 persone sono state condannate a 11 anni di carcere lo scorso luglio.
Lei immagina un teatro partecipativo senza attori. Un teatro in cui rimanga solo il pubblico. Come?
Lo spettatore reagisce a un dispositivo, a volte da solo e a volte, come nel caso di No se registran conversaciones de interés , accompagnato da alcuni interpreti. Il dispositivo presenta un compito che obbliga lo spettatore a prendere decisioni. Condiviso con altri spettatori, il dispositivo riattualizza l'idea del teatro come progetto collettivo, microcosmo della società ed eterotopia.
Se dovesse fare un breve profilo artistico di se stesso, cosa scriverebbe nella sua autobiografia?
Nato in seno a una famiglia politicamente impegnata, Roger Bernat utilizza il teatro come un laboratorio collettivo in cui inscrivere sia le aspirazioni utopiche che le fantasie autoritarie che si annidano in una società. Affinché ciò sia possibile, lo spettatore smette di essere testimone privilegiato per divenire attore perplesso di un dramma in cui rinuncia a essere solo la vittima per accettare il rischio di trasformarsi in un boia. Entra, insomma, nella stagione più complessa della sua maturità culturale. O nella sua età amletica.
* Le risposte di Bernat sono state elaborate insieme a Roberto Fratini. |