Teatro Italiano: un caso di accanimento terapeutico
di Alfio Petrini
“Sono famoso, ma nessuno lo sa”. In questa frase c'è lo spirito bizzarro di Luigi Lunari. C'é l'ironia che lo salva dalla vita. C'è il gusto della battuta che lo rende un comunicatore leggero, ma denso e accattivante. C'è anche lo sberleffo, il paradosso e il grottesco che rappresentano aspetti salienti della sua scrittura drammaturgica, la materia di cui sono fatti i suoi sogni teatrali. A 81 anni, portati bene, con il credito di molte commedie di successo, può essere considerato uno dei pochi grandi scrittori del teatro italiano. Forse neppure lui sa esattamente il numero dei testi che ha scritto, e quali siano le lingue in cui sono stati tradotti.
Ha lavorato per più di dieci anni con Giorgio Strehler ed è uno dei pochi scrittori di teatro che ha svolto come “ dramaturg” una intensa attività al Piccolo Teatro di Milano, incarnando una figura professionale rara oggi a vedersi nel panorama delle compagnie nazionali, pubbliche e private, pur essendo operativamente necessaria, se non addirittura indispensabile, per il fare teatro della contemporaneità.
Nel corso del seminario “ Teatro italiano: un accanimento terapeutico” , che ha svolto in modo brillante nella sede della Casa dei Teatri per il Centro Nazionale di Drammaturgia Contemporanea , Lunari ha conquistato l'attenzione e la considerazione di un pubblico competente, inanellando fatti, ricordi, battute e aneddoti sul filo della memoria e dell'improvvisazione.
Nel contesto dei fatti inerenti alla propria attività artistica e culturale ha esposto la tesi secondo la quale il teatro italiano professionale è tenuto in vita - senza essere sempre vitale -, da un accanimento terapeutico che non lo salverà da un destino inesorabile rappresentato dall'amatorialità. Lunari sostiene che la soluzione finale del teatro sia data dall'estinzione del professionismo e che solo l'amatorialità sia foriera di bellezza. Bello è infatti il divertimento che provano gli attori e i registi delle compagnie non professionali che si ritrovano la sera in sala prove dopo aver lavorato durante il giorno come macellai, ingegneri, ragionieri o impiegati del catasto. Quanti sono gli attori professionisti che si divertono nel recitare, si è chiesto il nostro autore? Pochissimi. E il fatto che non si divertano non è cosa di secondaria importanza perché il piacere (nella dualità della componente fisica e mentale) traspare, quando c'è, nel risultato finale dello spettacolo. L'amatorialità è pertanto la condizione ideale del lavoro teatrale, scevra da ogni tipo di problema, anche finanziaria, che porta spesso gli artisti - pressati e schiavizzati dai debiti - sull'orlo del suicidio. Amatorialità e automecenatismo: questo è il binomio vincente lanciato nel corso del seminario da un Gigi Lunari bagnato dalla pioggia di Roma che non ha attenuato la sua ironia e non gli ha impedito di provare il piacere a strappare un sorriso a coloro che hanno partecipato al quarto evento in programma. (Roma, 1 dicembre 2014).
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