In risposta all'invito di Letizia Bernazza e di Limina Teatri vi invio con piacere una nota sul libro appena uscito Ai chiodi le lune L'inatteso di Fabrice Melquiot e La soglia di Michel Azama (Editoria & Spettacolo) e che riprende l'introduzione del volume.
Il volume è uscito contestualmente al progetto Il teatro di Michel Azama che ha attraversato nel mese di maggio 2014 la città di Bologna e di Forlì. Il progetto ha proposto un ‘solco' nella scrittura dell'autore francese Michel Azama con incontri e mise en espace, proseguendo l'attenzione alla drammaturgia francese – negli scorsi anni dedicata a Fabrice Melquiot con spettacoli, letture, incontri- grazie all'impegno di Alliance Française di Bologna e del Dipartimento di interpretazione e traduzione dell'Università di Bologna che ha tradotto i due testi teatrali di Fabrice Melquiot e di Michel Azama nell'ambito di un progetto didattico.
Due voci importanti della drammaturgia francese contemporanea da conoscere e che ora è possibile condividere grazie alla pubblicazione appena realizzata da Editoria & Spettacolo, un'occasione importante per conoscere la scrittura di Fabrice Melquiot e Michel Azama.
Fabrice Melquiot (Modane, 1972) e Michel Azama (Villelongue-de-la-Salanque, 1947) prima di diventare autori e drammaturghi, si formano come attori. Michel Azama al Corso René Simon, poi all'Ecole Jacques Lecoq a Parigi. Fabrice Melquiot si è formato nella Compagnia des Millefontaines, diretta da Emmanuel Demarcy-Mota.
Entrambi sono tradotti in più lingue e rappresentati in moltissimi paesi a livello internazionale.
L'inatteso (1999/2000) di Fabrice Melquiot e La soglia di Michel Azama (1986), due ‘assoli' femminili, voci intime e personali che diventano collettive e plurali.
« È possibile che sia caduta con il viso rivolto verso la città »,
scrive Wislawa Szymborska*
Questa immagine ideale attraversa L'inatteso di Fabrice Melquiot e La soglia di Michel Azama, le ferite, le cadute del linguaggio, i tragitti delle parole sulle palpebre e rivolti alla città, a noi .
L'inatteso di Fabrice Melquiot e La soglia di Michel Azama sembrano composti con la luce della luna, sorvegliante severo e visionario delle parole, le illumina e le offusca, le trasfigura e le consegna.
Scritture dove tutto è inchiodato, anche la luna.
Testi intagliati, scolpiti nel linguaggio, ritagliano figurine di carta: Liane ne L'inatteso , la ‘liberante” ne La soglia , due soffi, due ferite, due voci.
Liane sembra piccolissima scrive Melquiot, la liberante è come l'angoscia rannicchiata di traverso, dipinge Azama.
Due donne, due figure riflesse da una scheggia di vetro, lente che le rimpicciolisce e le ingrandisce, lente di voci intime e personali che diventano collettive e plurali.
Ne L'inatteso «tutto è inchiodato. Duro. Che nulla venga spostato». Uno spazio visionario e concreto, dove «crescono i giunchi nello scafo e i pesci ci dormono se capita», lanterna magica dei ricordi che dolorosamente si apre, un carillon scomposto e ferito. Come se il testo soffiasse direttamente dalle “crepe dei muri”, dalle serrature. «Porta sigillata. Finestra chiusa. Che nulla venga spostato».
Un testo che appende le parole, un filo per la memoria stesa a asciugare. Sul soffio, nel dondolio del “qui ora lì”, essere qui e lontano è il mondo , essere qui e aprire un altrove. L'inatteso di Melquiot si presenta come sinfonia per voce sola, una partitura, di memorie e ricordi, che esala da visionari flaconi, una musicalità di note e parole alla deriva.
Una ‘figura di carta', un rilievo che si stacca dalla pietra e prende voce. Una partitura in cui la parola ‘tocca la luna', la poesia e scava nel linguaggio della quotidianità.
«La poesia è la lingua senza fossili, “è quel che si dice in modo diverso”. Nel mio caso non può che aver origine nel mondo, con la sua volgarità, la sua bestialità, ma anche la sua grazia», dice Melquiot e con le parole disegna un'architettura sopra e sotto il linguaggio, spirali, vortici in cui centrifuga schegge poetiche e grevità. Dai flacons e dai colori evaporano volute di ricordi e visioni, improbabili cadute, tra follia, solitudine e levità.
La soglia si svolge «in uno strano posto, tra due mondi», scrive Azama.
In quello spazio tra una cosa e l'altra, in quella intercapedine, quella anticamera, quella soglia che divide uno spazio dall'altro, il crinale dove convergono la discesa e la salita.
In quel punto, in cima, a picco troviamo la ‘liberante', in quello spazio dove tutto può ac-cadere, in cui il viso può cadere verso la città o guardare la luna.
Alla soglia della soglia noi, spettatori, ascoltatori, lettori a seguire i tragitti di una parola che scava al buio degli armadi chiusi, non solo nello spazio di una soglia ma anche nel tempo di una soglia, la sera prima di varcare, oltrepassare, infrangere proprio quella soglia. Il luogo dove le parole diventano necessarie, assumono l'intensità e la forza del primo o ultimo racconto della propria vita, come una fiaba in cambio della vita.
Parole legate a una corda che può tirare violenta o volteggiare per fare aria, parole che inseguono le storie e che sono abitate da più voci, l'impellenza del dire non è di una ma di tante voci, una parola che esplode e si moltiplica, che viaggia avanti e indietro (anche nei continui spostamenti temporali) con l'impazienza di non scordare nessuno, di non dimenticare nulla, di dare vita a quella parola e di trascinarla al di qua della soglia, che pure non dà certezze.
La soglia nasce dopo un'esperienza nel carcere femminile di Rennes e assume la valenza e la potenza di ‘consegna' di parole, di consegna di responsabilità, di parole che si trasformano da testimonianza all'essere altrove, ai margini del mondo e del linguaggio.
La liberante guarda, guarda, guarda , assorbe tutto. Testo vorace che inghiotte, che non ha tempo da perdere e pure è proprio quel tempo che incute paura e allarga di sabbie mobili anche il linguaggio, dove la solitudine, la paura, «la morte si fa strada come una talpa», testo di tunnel sotterranei, mangiati, rosicchiati, tarlati, testo che impone di dirsi adesso! Ora! Che urla sono qui! «Non voglio perdermi un solo istante di questa notte» mentre il calendario si compone di “chissàquantesimi”. Con voce inchiodata, «letto inchiodato al pavimento, sgabello inchiodato al pavimento».
L'inatteso di Fabrice Melquiot e La soglia di Michel Azama, parole che arrivano dal silenzio, che si staccano dal muro e prendono volume.
Scrostati, un alfabeto corrotto, esposto al vento, come un lenzuolo che si alza, così questi “muri sotto la pelle”, questi intagli, questi silenzi giungono a noi, alle nostre letture, ai nostri teatri, alle mani sapienti di attrici che possano farli risuonare.
Elena Di Gioia
Il volume contiene i testi L'inatteso di Fabrice Melquiot, La soglia di Michel Azama, due dialoghi con gli autori, un intervento sulla traduzione teatrale di Chiara Elefante, Licia Reggiani, Marie Line Zucchiatti e la postfazione Solitudini femminili fra le soglie di Azama e l'Inatteso di Melquiot di Laura Mariani.
Ai chiodi le lune
Due tra le voci più importanti della drammaturgia contemporanea francese
Fabrice Melquiot e Michel Azama.
L'inatteso e La soglia .
A cura di Elena Di Gioia
Postfazione Laura Mariani
Editoria & Spettacolo, 2014
www.editoriaespettacolo.it
* Wislawa Szymborska, La moglie di Lot,
Vista con granello di sabbia , Adelphi, Milano 1998
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