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La Conferenza degli Uccelli.
Le Sette Valli dell'Amore e la ricerca del Sé

di Letizia Bernazza

Ho fatto il mio primo “incontro” con La Conferenza degli Uccelli di Farid ad-Din ‘Attar nel lontano 1989. Preparavo, con il Professore Ferruccio Marotti, la mia tesi di laurea: Il teatro di Peter Brook (1970-1980). Con particolare riferimento al training dell'attore . Lo studio si apriva con l'analisi de Il Sogno di una notte di mezza estate e si chiudeva con La Conferenza degli Uccelli , tratta proprio dall'opera del celebre poeta-mistico persiano. Inutile dire che rimasi affascinata non solo dalla versione teatrale di Jean-Claude Carrière, ma soprattutto dalla scrittura scenica, imperniata sul viaggio degli uccelli piuttosto che sulle cause e i dubbi ostacolanti la partenza del gruppo di volatili. Secondo Carrière e Brook, infatti, proprio il viaggio avrebbe permesso di attuare il passaggio dall'epico al drammatico, conferendo alla pièce quella fondamentale dinamicità, necessaria per catturare l'attenzione dello spettatore.

Sono passati molti anni da allora. Non ho mai dimenticato le suggestioni che mi sono state trasmesse dalle immagini di uno dei più bei lavori realizzati dal regista di origine inglese trasferitosi ormai dal 1970 a Parigi, dove il teatro de Les Bouffes du Nord è un'istituzione nazionale e internazionale.

La vita poi è bizzarra: è come se ti ricordasse le esperienze fondamentali della tua esistenza e a distanza di tempo le riportasse vive nella tua memoria. Il percorso personale e affettivo, negli ultimi anni, mi ha portato a entrare in contatto diretto con la cultura persiana: encomiabile e di straordinaria ricchezza.

Quando ho ricevuto l'invito a partecipare alla messinscena La Conferenza degli Uccelli. Le sette valli dell'Amore , alla Sala Uno di Roma, non ho pensato neanche un attimo a non essere presente.

Devo dire che lo spettacolo, diretto dal regista persiano Reza Kheradman, ha il pregio di restituire con efficacia il fulcro del poema (un'eccezionale allegoria della ricerca dell'Essere) in cui l'autore – vissuto tra il 1100 e il 1200, quando il Sufismo era assai praticato e i problemi legati alla metafisica erano oggetto di attiva speculazione – racconta, in circa 4.500 versi, il viaggio di un nutrito gruppo di uccelli (centomila all'inizio) i quali, sotto la guida dell'Upupa, decidono di raggiungere la corte del Simorgh, simbolo della Divinità, ma anche specchio riflesso della loro immagine-essenza. Un percorso iniziatico, sviluppato per tappe (sette Valli), che segna metaforicamente gli stadi fondamentali per conquistare la perfezione divina.

Lo spazio dove agiscono lo stesso Reza Kheradman e l'attrice Astra Lanz è assolutamente privo di orpelli: l'incantevole cornice della Sala Uno, situata nella navata centrale della cripta della Scala Santa, con le sue pareti in mattoni a vista e gli ampi archi, ben si presta ad accogliere l'esplorazione di quel “mare dell'anima” proposta da ‘Attar. Sembra non ci sia bisogno di altro: gli attori conducono lo spettatore ad attraversare la valle della Ricerca, dell'Amore, della Conoscenza, del Distacco, dell'Unificazione, dello Stupore, della Privazione e dell'Annientamento. Vestiti entrambi di bianco, i due interpreti – entrando e uscendo dai vari personaggi – narrano gli aneddoti salienti delle singole Valli. Una nota di merito va ad Astra Lanz per le sue capacità vocali e fisiche e ai due musicisti, i fratelli Reza e Hamid Mohsenipour. Seduti su dei piccoli sgabelli posti su un bel tappeto persiano e a lato dello spazio in cui agiscono i due attori, essi sanno scandire con i loro ritmi musicali l'armonico sviluppo delle storie raccontate. La loro presenza è fondamentale per modularne i tempi e per sottolinearne l'andamento: a seconda delle situazioni, sono il tar, lo zarb, il dayereh o il flauto dolce, insieme all'aggraziato disegno di luci di Hossein Taheri, ad accompagnare il cammino dei “mistici viandanti” fino alla rivelazione finale. Soltanto trenta uccelli giungeranno al cospetto del Simorgh e si accorgeranno che quest'ultimo non è altro che uno specchio, nel quale lo stormo vede riflessa la propria immagine. “Sî-morgh” in persiano vuol dire “trenta-uccelli”, ovvero il numero di uccelli che arriveranno a destinazione e ai quali verrà rivelata la loro stessa Essenza. <<Il sole della mia maestà è uno specchio>>, confesserà il Simorgh, <<chi vi si riflette, scorge la sua anima e il suo corpo. Vi si vede intero. Se foste trenta o quaranta, vedreste trenta o quaranta uccelli in questo specchio>>.

 

 

 

La Conferenza degli Uccelli. Le Sette Valli dell'Amore

dal poema di di Farid ad-Din ‘Attar

regia Reza Kheradman

con Astra Lanz e Reza Kheradman

musiche dal vivo Reza e Hamid Mohsenipour

disegno luci Hossein Taheri

Teatro Sala Uno, Roma, da 2 al 7 febbraio 2016