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Il nuovissimo testo drammatico di Giuseppe Manfridi:

Conversazioni sul luogo dell'incidente
(Trasfigurazione cruenta di Jackson Pollock)

di Giorgio Taffon

Nell'ambito dell'iniziativa Lezioni di anima promossa dal Teatro dell'Angelo di Roma, a cura del suo direttore artistico Antonello Avallone, lunedi 2 febbraio c. a., Giuseppe Manfridi, coadiuvato molto egregiamente sulla scena da Nelly Jensen e Fabrizio Pucci, ha presentato il suo nuovissimo testo ispirato a Jackson Pollock, allestendo una lettura drammatizzata, quasi mise en espace , e avvincendo il numerosissimo pubblico presente.

Prefato acutamente e con partecipazione e sensibilità culturale da Fabio Pierangeli, è uscito dunque a gennaio nella Collana Teatro (n. 69), della benemerita casa editrice calabrese La mongolfiera, il testo a stampa di Manfridi ispirato alla vita del fondatore del “drip painting” statunitense degli anni ‘50-‘60, Jackson Pollock: sarebbe meglio dire, però, ispirato al momento chiave dell'esistenza del pittore, alla sua morte.

Il sottotitolo recita: trasfigurazione cruenta di Jackson Pollock , e dà la chiave di lettura del plot che uno dei nostri drammaturghi più importanti e ben conosciuto anche fuori d'Italia, quale è Manfridi, ha immaginato prendendo spunto dal modo in cui Pollock ha concluso la sua vicenda terrena. E cioè morendo in un incidente d'auto vicino alla sua abitazione, a Springs, l'11 agosto 1956, a 44 anni, mentre tornava da una gita al mare, assieme all'amante Ruth Kligman e ad un'amica comune, Edith, quest'ultima pure perita nell'incidente. Quasi certamente la causa fu lo stato d'ebbrezza in cui il pittore si trovava, prigioniero da anni e anni dell'etilismo. Sulla scena si svolge dunque il dialogo fra Jack e Ruth, teso, sottile, quasi una schermaglia dialettica il cui topos è l'esistenza del pittore con tutti i suoi risvolti: le problematiche della creatività, il rapporto con la moglie, che lo ha “salvato”, i rapporti con l'amante Ruth, le sue ossessioni, i suoi pensieri ricorrenti. I momenti più avvincenti sono quelli in cui il dialogo si svolge per allusioni, per non-detti, o per non-dicibili, o non spiegabili, come la stessa dimensione in cui i due protagonisti si trovano a coesistere, in quel momento di passaggio che lui, Jack, sta affrontando senza coglierne precisamente i contorni. E l'autore fa dire a entrambi che tutto potrebbe essere immaginazione o dell'uno o dell'altra dei due. Manfridi, opportunamente, non si caccia in un groviglio di ipotesi metafisiche o filosofiche: l'inizio dell'al di là, semmai, è ancora la fine dell'al di qua, o forse per Jack l'aldilà è poi l'aldiqua verso cui si sta aprendo una distanza : parola chiave per il personaggio di Pollock: le distanze sono quelle che dividono gli esseri umani; distanza è quella che separa la sua mano dalla tela o cartone su cui deve sprizzare i colori; distanza è quella fra il bosco e la notte in cui si trova a trasfigurarsi rispetto alla casa dove abitava e alla vita diurna cosciente; distanza è il tratto di terreno fra il punto in cui l'auto perde l'assetto e lo steccato dove finisce per sbattere; tanto che sul finale Ruth afferma che “Ogni fatto si risolve in una parola sola. Distanza.”. La domanda finale di Jack è:” Chi sono stato?”. Il chi sono, teatralmente di memoria edipiana-sfingica, per Jack morente diviene un amletico: “Chi sono stato?”. Il movimento di trasfigurazione , nel momento in cui il bios inizia a disfarsi, diviene culturale, cioè interpretazione della propria e altrui esistenza, e del senso ultimo di essa che la morte finisce per fissare per sempre.