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L'esposizione universale

di Giorgio Taffon

Ho conosciuto Luigi Squarzina personalmente negli anni in cui fu professore di Storia del teatro presso l'Università La Sapienza, intuendone, come tutti, da subito la profondità culturale, l'alto artigianato registico, spesso trasformatosi in sapienza e scienza teatrali; il suo carattere a volte burbero, a volte, forse per l'età, particolarmente bonario, catturava la mia attenzione come pure quella dei miei allora giovani colleghi. Se come regista, regista critico , già da anni avevo visto sue grandissime prove, man mano conobbi anche la sua opera di studioso: dalle voci curate per l'insuperata Enciclopedia dello Spettacolo , fondata da Silvio d'Amico, ai suoi numerosi libri sulla regia e sulla storia dello spettacolo, con alcune profonde incursioni negli autori attori e registi stranieri del Novecento. Come drammaturgo lessi alcuni suoi testi, con mia preferenza per 5 giorni al porto (co-autore Vico Faggi), e La Romagnola . Ma Squarzina non volle mai mettere in scena suoi testi quando era direttore di teatri stabili (fra cui quello romano negli anni Ottanta): una prova di etica professionale ammirevole, onde evitare eventuali conflitti d'interesse. Ora è il Teatro di Roma che aggiunge un altro tassello commemorativo e riflessivo sull'opera del Nostro, dopo il convegno veneziano a lui dedicato, a due anni dalla morte, nel 2012, e la relativa pubblicazione degli Atti nel 2013: lo aggiunge producendo l'allestimento del primo testo drammatico scritto da uno Squarzina giovanissimo a metà anni Quaranta, e vincitore del Premio Gramsci nel 1949. Sullo spettacolo, che ha debuttato al Teatro India il 9 giugno scorso, è imperniato tutto il Progetto ESPOSIZIONE UNIVERSALE DI ROMA. IDEAZIONE E TRASFORMAZIONE , con una mostra dedicata al Maestro, una serie di Visite guidate Alla scoperta dell'EUR , una Degustazione di prodotti della cucina “povera” romana presso il Foyer durante le repliche dello spettacolo. Va detto a questo punto che le finalità didattiche e culturali di tutto il Progetto non possono che essere considerate molto positivamente, tenendo anche conto, va osservato, delle forze messe in campo: ovviamente il Teatro di Roma, guidato con grande sensibilità culturale da Antonio Calbi, e poi l'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica “Silvio d'Amico”, la Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia, lo Style Food/Cristal Catering e Open City Roma/Open House Roma, l'Istituto Luce, la Fondazione Istituto Gramsci, la EUR S. P. A. e Zètema Progetto Cultura.

Venendo allo spettacolo ci si accorge di uno dei perché il testo di Squarzina in Italia non sia mai stato messo in scena, a parte tre letture (a inizio anni '50 Gassmann e Albertazzi, e più di recente nel 1994 proprio Maccarinelli, regista dell'attuale allestimento), e cioè l'alto numero di attori necessari a ricoprire tutte le parti: da sempre questo è un limite invalicabile per le “tasche” di qualsiasi organismo di produzione teatrale nostrano. Da ciò la necessità di una cooperazione di più Enti, che, finalmente, si è attuata per la presente occasione: provenendo quattordici giovani attori dal Corso di Perfezionamento per Attori della Scuola del Teatro di Roma, dalle file dell'Accademia e del Centro Sperimentale, peraltro tutti all'altezza della situazione scenica. Gli altri attori già affermati e conosciuti sono: Luigi Diberti, interprete del personaggio del Professor Curbastro, molto bravo a denotare un carattere doppiamente straziato dalla perdita del figlio a causa della guerra, e del crollo della fiducia nei paradigmi del regime fascista. Poi Stefano Santospago, che asseconda benissimo le varie motivazioni del personaggio di Barzillai, espresse dal testo squarziniano: ipocrisia, egoismo, furbizia immorale, speculazione senza limiti. E ancora, Antonietta Bello, una Nora che emoziona nel suo obiettivo di riscattarsi dalla tutela malvagia del Barzillai. Poi Alice Spisa, energica, sensibile, vibrante interprete di Lucia, una delle figlie di Emma, capofamiglia di tre poverissime abitanti del rifugio di fortuna rappresentato da uno dei cantieri abbandonati di quella che doveva essere l'Esposizione del 1942, la cui costruzione fu interrotta dalla guerra. Infine Sara Pallini, una Emma, appunto, precisissima, credibilissima nella parte di una ancora giovane madre che deve difendersi dalle sciagure che la situazione e il destino le ha imposto: madre dolente ma coraggiosa.

Sulla regia di Piero Maccarinelli do un giudizio abbastanza positivo: ottima capacità di guidare una compagnia di “complesso”, onde rendere la coralità un po' gorkiana (e alla Hauptmann), voluta dalla drammaturgia d'origine; non è facile coordinare tempi-spazi e movimenti e dinamiche prossemiche di una ventina d'attori; altro punto a favore della regìa è la scelta di allargare a molti personaggi quell'italiano regionale (quindi di pronuncia e tonetica romana) che nel testo originario è riservato solo a pochi personaggi “proletari”, alzando il tasso di credibilità scenica di tutti i personaggi; ancora, voglio sottolineare una scenografia che sa andar oltre modelli già da tempo standardizzati, ben sfruttando pedane, scale, e praticabili, sempre ben “vissuti” dai personaggi, e, assieme, va goduto il fondale, uno schermo su cui passano all'occorrenza le immagini di quella protoEUR, che, incredibilmente, potrebbero rinviare agli attuali scempi osservabili in alcuni siti del quartiere… Qualche limite la regia lo dimostra nel non aver saputo “tradire” un poco il testo: alcuni passaggi dei dialoghi, alcune battute, e alcune situazioni risultano essere troppo ingenui, a volte retorici, o troppo espliciti e quindi poco teatralmente allusivi: più coraggio occorreva nel tagliare o togliere o mutare! Anche al fine di asciugare un finale drammaturgicamente notevole, con colpi di scena efficacemente conclusivi della vicenda, e certamente indicativo di una naturale grande consapevolezza del linguaggio scenico dell'autore. Se volessi usare un solo termine per definire l'operazione drammaturgica, ben supportato nel suo insieme dalla messa in scena vista iersera 11 giugno all'India, userei la parola VUOTO: il giovane Squarzina, appena finita la guerra, dipinge nel suo affresco una dimensione umana, etica, politica, ideologica, materiale di VUOTO: ogni progetto giovanile sembra galleggiare nel vuoto, non aver presa sul reale, con possibile raggiungimento di nuove finalità civili, comportamentali, statuali. Mi piace, in conclusione, ricordare quanto afferma nel suo recente libro Il ventennio dei ventenni. Illusioni e speranze di una generazione di intellettuali (Roma, Aracne editrice, 2014, p. 180) uno dei nostri giovani redattori, Carlo Dilonardo: “Ed allora se non la si vuole considerare indistintamente e “caritatevolmente” una “generazione senza maestri”, è opportuno quanto meno evidenziare che probabilmente non vi furono dei maestri in grado di dare ai giovani insegnamenti utilizzabili in un contesto politico e sociale che richiedeva di reinventarsi un nuovo modus operandi .”. Ecco allora, mi par di poter dire, che solo a partire dal “vuoto” Squarzina intuiva di poter tentare una reinvenzione politica, sociale, artistica, teatrale: come in quello scorcio d'anni tentavano a loro modo Leopoldo Trieste, e pochi anni dopo Giovanni Testori, Giuseppe Patroni Griffi, Franco Brusati.

Giugno 2015

L'esposizione universale

di Luigi Squarzina

regia Piero Maccarinelli

con Luigi Diberti, Stefano Santospago, Antonietta Bello, Sara Pallini, Alice Spisa, e con

Roberto Caccioppoli, Maria Teresa Campus, Barbara Chichiarelli, Paride Cicirello, Giulio Maria Corso, Vincenzo D'Amato, Gregorio De Paola, Carmine Fabbricatore, Michele Lisi, Pietro Masotti, Alessandro Meringolo, Stefano Scialanga, Nicola Sorrenti, Jacopo Uccella

costumi Gianluca Sbicca

musiche Antonio Di Pofi

movimenti scenici Francesco Manetti

immagini Istituto Luce

scelte da Roland Sejko

montaggio Luca Onorati

assistente alla regia Ulduz Ashraf Gandomi

Roma Teatro India, 9 – 14 giugno 2015