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Il Teatro delle apparizioni: un bel Ritratto d'artista che ha saputo toccare il cuore dei piccoli e dei grandi spettatori

a cura di Letizia Bernazza

 


foto di Giovanni Chiarot

 

È il 2008. Per i tipi di Editoria&Spettacolo viene pubblicato Il Teatro delle apparizioni , il volume che ho curato grazie al sostegno di Paolo Ruffini, direttore della collana ‘Spaesamenti', e dell'editore Maximilian La Monica.
La monografia, seguendo lo spirito di ‘Spaesamenti', è organizzata come una sorta di puzzle dove il quadro d'insieme scaturisce dall'eterogeneità dei materiali: il mio saggio che introduce e ripercorre la storia del Tda, focalizzando le linee estetiche e la poetica del gruppo; le interviste a tutti coloro che hanno contribuito a dare vita alla compagnia romana; i numerosi interventi di coloro i quali hanno avuto modo di conoscere e di approfondire il percorso artistico tracciato dal regista Fabrizio Pallara e dalla comunità di artisti riuniti intorno a lui (fondamentali gli scritti di Gianfranco Capitta, Giancarlo Sammartano, Giorgio Taffon e Giorgio Testa).
Gli estremi cronologici del libro sono fissati dalla messinscena che segna il debutto della compagnia: Gobbo il re, storta la regina - il 4 giugno del 2000 alla Festa del bambino di Roma - fino a Il giocattolo con i fili. Preparazione alla danza del Mahabharata - il progetto realizzato in collaborazione con il Teatro dei Sassi di Matera con la prima a Cervia, presso i Magazzini del Sale, nel 2007.
Nel 2018, il Teatro di Roma omaggia il Teatro delle apparizioni con Ritratto d'artista. Quale occasione migliore per riprendere una riflessione sul percorso del Tda dal 2008 ad oggi? Sono passati dieci anni dalla mia pubblicazione . Tante cose sono cambiate nella fisionomia della compagnia, ma di sicuro non il bisogno più autentico di Fabrizio Pallara: quello di proporre un Teatro attento alle piccole cose, mosso dal desiderio profondo di dare vita a un'esperienza da condividere con gli altri, adulti o bambini che siano, attraverso il gioco dello stupore e della meraviglia veicoli per ‘trascendere l'Io' e per ‘andare verso gli Altri', per dirla con le parole di Jerzy Grotowski.
Da qui, l'idea della nostra rivista di dedicare un Focus al Tda costruito, intanto, a partire da un'intervista a Fabrizio Pallara. Con le sue parole, ci lasciamo guidare nel viaggio che il gruppo ha intrapreso negli ultimi dieci anni, mettendo a fuoco le trasformazioni avvenute all'interno della compagnia originaria e l'apertura a nuove collaborazioni: penso a quella con l'attore Dario Garofalo. Insieme a lui, nascono Uno (2008), Pop up – la terza dimensione del libro (2009), Pinocchio (2011), Moby Dick (2012), Fiabe Pop up – una lettura in tre dimensioni (2012), Alice (2014).
Nel 2013, poi, debutta Il tenace soldatino di piombo – un film da palcoscenico , prodotto con il Teatro Accettella (Teatro Stabile di produzione). Dal 2009, si afferma il sodalizio con l'attore Valerio Malorni ( Pou-up – la terza dimensione del libro (2009), Incubi – l'età dell'incertezza (2010), Pinocchio (2011), Fiabe Pop up – una lettura in tre dimensioni (2012), Il tenace soldatino di piombo – un film da palcoscenico (2013), Alice (2014), La mia grande avventura (2016) ).
È del 2017 l'incontro con Tamara Bartonini e Michele Baronio.
Rivolgere qualche domanda anche a Valerio Malorni, Tamara Bartolini e Michele Baronio, ci è sembrato interessante per restituire completezza al viaggio del Tda.
La nostra analisi volge, infine, a investigare le tre messinscene proposte all'interno della rassegna: Fiabe da tavolo , Il tenace soldatino di piombo e I musicanti di Brema . Sul primo e il secondo spettacolo riferiscono Giorgio Taffon e Giorgio Testa, testimoni preziosi del lavoro del gruppo. Il mio contributo verte, invece, su I musicanti di Brema , presentato in prima assoluta al Teatro India.

 

Il Teatro delle apparizioni tra continuità e nuovi incontri
intervista a Fabrizio Pallara
con le testimonianze di Valerio Malorni, Tamara Bartolini e Michele Baronio

di Letizia Bernazza

 


foto di Margherita Masè

 

Una domanda non semplice: come è cambiata la fisionomia del Tda dal 2008 ad oggi?

In questi ultimi dieci anni il percorso della compagnia ha incontrato e sviluppato la ricerca sul teatro per le nuove generazioni. Nel dna del gruppo di lavoro c'è stata fin dall'inizio la volontà di affrontare gli spettacoli cercando l'incanto nelle piccole cose. È in fondo il modo di guardare dei bambini, quello stupore che li accompagna sempre mentre attraversano il mondo. È stato perciò naturale accogliere questa ricerca che è diventata con il tempo una scelta poetica; il tentativo di parlare a tutti e dunque ‘anche' ai bambini e ai ragazzi ci conduce ormai costantemente a cercare un linguaggio capace di andare incontro a generazioni differenti, con l'obiettivo di trovare quell'equilibrio che possa garantire una proposta spettacolare leggibile a più livelli, quello che mi piace definire un teatro popolare d'arte . La sfida è sempre condurre adulti e bambini verso uno scambio reciproco: gli adulti portano i bambini a teatro e naturalmente scelgono per loro, sono i primi mediatori di questa esperienza, ma i bambini ‘traghettano' gli adulti in un modo differente dentro la visione, sono tutti nella medesima condizione, semplicemente in fasi diverse della vita. Naturalmente negli anni la compagnia è mutata non solo dal punto di vista artistico, ma anche organizzativo. Siamo entrati in un circuito produttivo e distributivo in cui gli obiettivi, i desideri, le esigenze artistiche, le condizioni del contesto dove si lavora devono costantemente dialogare. La presenza di Sara Ferrari, che dal 2010 cura l'organizzazione e la distribuzione oltre ad avere un ruolo importante nella definizione delle strategie e delle scelte che guidano il lavoro della compagnia, accompagna quotidianamente questo processo. Negli anni la nostra ricerca si è inoltre arricchita di incontri differenti: la collaborazione decennale con Dario Garofalo, attualmente conclusa; il sodalizio con Valerio Malorni; il più recente contributo di Francesco Picciotti - che partecipa in vari modi e con vari ruoli ad alcuni progetti della compagnia – il legame con Bartolini/Baronio, la formazione romana con cui abbiamo da poco prodotto un nuovo spettacolo.

Lavorare con dieci attori e poi scegliere di realizzare spettacoli con due o, al massimo, tre interpreti che cosa ha significato per te? E, soprattutto, i vari – o alcuni –‘vecchi' compagni di strada continuano a collaborare con te?

Il desiderio e le necessità artistiche si devono confrontare con la realtà; nella realizzazione di ogni nuova produzione siamo sempre attenti alla creazione di un prodotto artistico che possa vivere, affrontare le tournée, nutrirsi degli sguardi di più spettatori possibili. Ciò significa trovare giusti compromessi, con l'intento di continuare convintamente la ricerca, cercando strade nuove senza accomodarsi, ma anche di dare slancio e vita agli spettacoli che devono entrare in un circuito con delle regole. Tra tutti i collaboratori che hanno iniziato questo viaggio nel 1999 c'è ancora Sara Ferazzoli che cura le scene, in alcune produzioni, e le installazioni play-ground site specific, diventate recentemente un altro elemento del nostro percorso artistico.

Da qualche tempo lavori stabilmente con Valerio Malorni. Rivolgo a te e a Valerio un quesito che mi sta a cuore: come è nato il vostro rapporto artistico e soprattutto come si è concretizzato rispetto alla tua poetica teatrale?

PALLARA: Il nostro incontro come spesso accade è nato con la realizzazione di uno spettacolo, ormai dieci anni fa. Poi in particolare Il tenace soldatino di piombo nel 2013 ci ha dato l'occasione di provarci come autori/interpreti, consolidando il nostro rapporto, e così ogni volta ci sperimentiamo nei nuovi lavori, in un dialogo continuo e con uno sguardo che condividiamo, pur nelle specificità che ci contraddistinguono. Insomma siamo in cammino, il nostro rapporto personale alimenta gli spettacoli e determina di volta in volta i nostri ruoli, con l'obiettivo di arricchirci reciprocamente e valorizzare la ricerca comune.

MALORNI: Ogni spettacolo si nutre delle relazioni che l'hanno fatto nascere. Ogni replica può essere il frutto dei rapporti e delle vite che si intersecano sul placo, in quinta... Questo può fare la differenza, in un verso o in un altro. Da questa visione del teatro, in cui l'artista, la persona e il cittadino concorrono ad ogni performance, e moltiplicano un progetto in una visione, nasce il nostro incontro, credo. Un riconoscersi, dieci anni fa, forse di più... Un approccio al lavoro che non prescinde dalle biografie-in-fieri, un 'teatro immersivo', che si concede. Questo a parole... nella realtà ci siamo incontrati il 7 aprile del 2009, in mezzo ad una strada. Io l'ho chiamato, lui si è girato.

Le tue messinscene sono state nutrite, sin dalla fondazione del Tda, dalla poetica del teatro sensoriale, da quel ‘vedere oltre la vista', che passa dal corpo dell'attore a quello dello spettatore in un viaggio che prova a ricomporre l'identità dell'individuo-spettatore, guidandolo a ‘lasciarsi andare al gioco' per riappropriarsi della sua sfera emotiva. E oggi?

E oggi è la stessa cosa, la ricerca è tesa a ritrovare sempre quella tensione data dalla vicinanza del teatro sensoriale, la sfida è proprio questa. Credo che per tutti i nostri lavori realizzati ormai soprattutto per grandi platee, la dimensione data dalla prossimità del corpo sia esperibile con una prossimità emotiva che cerchiamo di sollecitare costantemente, in cui le ‘apparizioni' stanno nel guardare in modo inaspettato il quotidiano e nel lasciarsi condurre dentro un racconto possibile, provando ad abbandonare le resistenze. Tale dimensione appartiene in modo naturale ai bambini, gli adulti invece hanno bisogno di essere portati per mano, per trovare di nuovo quel modo di osservare e accogliere il mondo.  

Che cosa unisce le tre messinscene proposte dal Ritratto d'artista ?

Decisamente il lavoro sulla fiaba. Le fiabe sono il catalogo dei destini di un uomo e di una donna come diceva Italo Calvino, sono storie senza tempo, in cui ritrovare pezzetti di ognuno di noi, percorsi possibili. E ciò che nel mio lavoro mi interessa di più è affrontare noi stessi, l'essere umano, le sue bellezze e le sue brutture, attraverso quella distanza simbolica che è propria della narrazione fiabesca.

Mi sembra che la favola, inventata o classica, segua una sorta di prosecuzione con il percorso iniziale del Tda. Penso a Gobbo il re, storta la regina (2000); Apparizioni II: la favola (2001); Dove tutto è molto piccolo (2001); Il paese dei sussurri (2004); Gli occhi di Andersen. Primo movimento (2005), ma anche al Progetto ‘città invisibili' , ispirato all'immaginario fantastico dell'opera di Italo Calvino del 2002 o alla memoria dei racconti d'infanzia de La stanza dei segreti (2006). Sei d'accordo? Quale è il pubblico cui ti rivolgi?

È un pubblico trasversale. Ho la pretesa o meglio il desiderio di parlare a tutti, accompagnando ciascuno nel percorso che in quel momento della vita può essere compreso. Ciascuno prende ciò che può, ciò che desidera, ciò che riesce a vedere.

Il tenace soldatino di piombo tu e Valerio Malorni lo definite un ‘film da palcoscenico'. Che cosa vuol dire? Che cosa, dopo oltre cento repliche, lo rende un cult?

È un lavoro in cui la commistione e il dialogo dei linguaggi diventano in qualche modo la stessa drammaturgia. Siamo sì in teatro ma siamo anche un po' al cinema, perché lo spettatore è continuamente sollecitato a scegliere cosa guardare: gli attori che recitano sulla scena oppure ciò che di quella scena viene ripreso in diretta e proiettato su un grande schermo; dunque uno spettacolo, ma anche un film. Ci rappresenta in modo particolare a questo punto del percorso e un pubblico molto ampio ci ha potuto conoscere e riconoscere guardando questo lavoro, che è anche vincitore di un premio noto nel circuito del teatro per le nuove generazioni: il premio Eolo 2015 come miglior spettacolo di teatro di figura.

I musicanti di Brema inaugura la tua collaborazione con Tamara Bartolini e Michele Baronio. Puoi raccontarci, e lo chiedo anche a loro, come è nato questo incontro e, soprattutto, quali sono state le tappe fondamentali della costruzione di un viaggio <<…senza certezze, pieno del coraggio necessario per scoprire cosa c'è oltre ciò che si conosce, imparando a desiderare e trovando lo spazio per farlo?>>

PALLARA: Siamo due compagnie romane e ci conosciamo e stimiamo da molto tempo. Lo scorso anno abbiamo chiamato i due interpreti, insieme ad altri, a partecipare ad un progetto realizzato con la collaborazione di Carrozzerie n.o.t. a Roma. L'idea di partenza era sollecitare artisti - che non avessero nel loro orizzonte il teatro per le nuove generazioni - a scegliere e raccontare una fiaba, inserita in una cornice organizzata per accogliere il pubblico delle famiglie la domenica pomeriggio. L'incontro con i loro musicanti di Brema ha da subito mostrato un'attitudine verso l'infanzia con uno sguardo agli adulti, in cui ci siamo riconosciuti. La proposta di lavorare insieme per trasformare una lettura in uno spettacolo da far crescere, produrre e distribuire è stata quasi immediata e da lì è iniziato un percorso comune in cui il risultato è ora un lavoro contaminato e plurale, la cui poetica del Teatro delle apparizioni è entrata in dialogo con quella di Bartolini/Baronio. Proprio come i Musicanti ci siamo incontrati e abbiamo deciso insieme di percorrere un pezzo di strada nella stessa direzione.BARTOLINI/BARONIO: Quando siamo stati chiamati da Fabrizio Pallara per partecipare al progetto Perché perché una volta non ci porti pure me? realizzato in collaborazione con Carrozzerie n.o.t, non abbiamo avuto dubbi: la fiaba che avremo raccontato non poteva che essere I musicanti di Brema con la sua incredibile attualità immaginifica, un sogno rock di cambiamento. E poi che bello ritrovarci con il Teatro delle apparizioni, compagnia che conosciamo da tanti anni, che stimiamo, e con cui abbiamo condiviso battaglie sulla politica culturale di questa città! Dopo è stato tutto un percorso di trasformazione naturale, che ci ha visti camminare - come dice Fabrizio - nella stessa direzione e nel rispetto delle differenze, proprio come fanno i quattro musicanti di Brema, forti della possibilità di contaminarci, di affidarci a Fabrizio e alla sua regia, e lui alla nostra poetica. È stato un viaggio intenso e avventuroso che ci ha ricordato l'importanza del dialogo tra artisti e che ha creato l'occasione di parlare ad un pubblico di bambini e adulti avvicinandoli attorno ad un pensiero semplice, che si è rivelato come credevamo estremamente potente: la cosa più importante è immaginare, è camminare e farlo insieme.

 

Fiabe da tavolo : il rito di passaggio dall'infanzia a una matura giovinezza

di Giorgio Taffon

Sono felice di volgere di nuovo l'attenzione a Fabrizio Pallara e al Teatro delle apparizioni, in occasione di questo nuovo Focus che la nostra Rivista Liminateatri.it ha preparato. Questa volta le mie annotazioni e riflessioni partono da Fiabe da tavolo , che ho visto l'11 febbraio scorso nella Sala Squarzina del Teatro Argentina di Roma, uno spettacolo per bambini, e anche per adulti, di e con Fabrizio Pallara. Vari sono gli spunti per nulla banali che la performance di Pallara offre allo spettatore adulto e abbastanza ‘esperto' come chi qui scrive.
Il programma di sala così recita: <<Dentro ai libri, sulle bocche di chi le racconta, lette, immaginate, sognate, le fiabe nascono e si mettono in viaggio nelle parole, e durante il viaggio cambiano, crescono, si trasformano. Mappe di vita che accompagnano i bambini e i grandi: riti di passaggio che indirizzano strade possibili, piccoli sentieri, grandi avventure. Sei fiabe viaggiano in sei valigie e due alla volta, in ogni incontro, verranno evocate con oggetti, suoni, racconti e immaginazioni>>.
Nello spettacolo a cui ho assistito, Pallara ha rappresentato ai tanti bambini, con relativi genitori presenti, una fiaba di Pu š kin, Il pesciolino d'oro , Hänsel e Gretel , dei fratelli Grimm, e I tre porcellini di Jacobs Joseph. Dico ‘rappresentato' poiché il nostro attore-narratore è seduto a un tavolino dove dispone, prese da una valigetta di fattura ottocentesca, quei vari elementi, per lo più lignei, che concretizzano il racconto verbale agli occhi dei bimbi: case, personaggi, animali, componenti del mondo naturale, il tutto miniaturizzato in modo da lasciar comunque libera l'immaginazione di chi assiste, in particolare di chi esercita alla grande la sua fantasia come i giovanissimi spettatori, i quali, se abituati man mano ad assistere a rappresentazioni così ben concepite per la loro età (ma tali da far sorridere e commuovere anche gli adulti), potranno costituire da grandi il futuro nuovo pubblico per un teatro che in Italia langue sempre di più. Non mancano efficaci commenti musicali che accompagnano discretamente la voce e i gesti e le intonazioni di Fabrizio, che con leggerezza fa trasparire ai giovanissimi spettatori il senso finale delle tre favole, appunto ‘la morale della favola', e che è riassumibile, come scritto dallo stesso raccontatore, in un ‘rito di passaggio' dall'infanzia ad una matura giovinezza.
Conoscendo la formazione molto seria e appassionata di Pallara e dei suoi compagni di strada, e avendoli via via seguiti nella loro ricerca, credo di non sbagliare a sottolineare alcune consapevolezze pregevoli che questa azione teatrale del fondatore del Teatro delle apparizioni esprime, per portare la dimensione estetica e tecnico pratica fino ad uno spazio-tempo relazionale di grande efficacia psicopedagogica (peraltro sottolineata, pur nella loro spontaneità, dai bambini stessi, che non volevano nemmeno più abbandonare il magico territorio in cui erano ospitati).

 


foto di Vanessa Pallara


Ad esempio, il fascino del racconto è sostenuto dal gioco degli opposti, come afferma il nostro amico e compagno d'avventura in Liminateatri, Alfio Petrini, che vede nel mondo delle favole la possibilità di esprimere assieme ciò che è organico e ciò che è codificato, e quindi anche ciò che è mutevole e ciò che è irriducibile; così pure, come in Hänsel e Gretel , il barbarico e il civile: in parole più immediate e comunque sempre vere, ciò che è buono e ciò che è cattivo ai fini di un'umana e felice convivenza.
Si tratta con le favole di scoprire e mostrare, più che dimostrare, dimensioni altre del mondo e della vita, che la Zivilisation non può toccare attenta com'è agli ‘affari pratici' del vivere sociale; la fiaba, e in particolare quella di origine nordica e germanica, veleggia nel mare della Kultur , piuttosto, e dunque in quella ricerca umanistica incessante di nuove possibilità, di mutamenti che rompono l'ingessatura di snodi bloccati ai fini di una autenticità di vita.
E ancora, Fabrizio Pallara col suo lavoro ha saputo intuire e far intuire che la danza del mondo comprende vita e morte, sopra uno scorrere continuo di azioni che non trovano approdi definitivi, ma continue aperture di senso. In tali aperture, mi sembra, le logiche del razionale (che l'adulto segue pedissequamente) s'imbattono in quelle dell'irrazionale, cosicché nella favola coesistono il materiale e l'immateriale (oggetti e ricchezze palpabili ma anche patrimoni di idee e di sentimenti, come nel finale del Pesciolino ); e ancora obbedienza e disobbedienza, che abituano il bambino a definire e delimitare i confini del proprio ego.
E al proposito, all'occhio dell'adulto, in particolare, Pallara sembra mostrare come sia possibile far partecipare l'anima dell'individuo all'anima del mondo, come dettò la cultura romantica dell'Europa settentrionale: le tre favole che ho visto e ascoltato, difatti, danno un senso di liberazione e appartenenza a un tutto, dove si passa dalla letizia alla tristezza, dall'eccesso all'umiltà, da ciò che è noto, che ‘si sa', a ciò che è ignoto, da ciò che è vicino e familiare a ciò che è lontano e può impaurire e\o attrarre.
Insomma, l'immortale lezione di Shakespeare che ha massimamente esplicato la logica dei contrari come lievito organico e costituente il valore dell'azione teatrale, sembra ben ispirare il lavoro di Fabrizio Pallara, consapevole che in tale logica nessun elemento sconfigge il suo contrario, o il suo opposto, ma vale la convivenza, il confronto, la mutazione fra i poli, il rischio della morte che convive nello stesso rischio della vita.
Non mi resta che augurare al Teatro delle apparizioni e a Fabrizio Pallara un ottimo proseguimento di un cammino così prezioso!

 

Fiabe da tavolo
di e con Fabrizio Pallara
Teatro Argentina - Sala Squarzina - Roma, dall'11 al 12 febbraio 2018

 

Il tenace soldatino di piombo: una storia che fa dell'amore la stella polare dell'esistenza

di Giorgio Testa

Per la monografia sul Teatro delle apparizioni apparsa nel 2008 a cura di Letizia Bernazza mi trovai a scrivere intorno a La stanza dei segreti, che era, in quel momento, il primo e unico spettacolo della compagnia che avessi visto. L'occasione fu l'inizio di un rapporto di stima e amicizia con Fabrizio che dura tuttora, con scambi su politica e poetica del Teatro Ragazzi, collaborazioni in più di un progetto di formazione, e, soprattutto, costante confronto sulla sua attività artistica, che ho seguito, in questi anni, nei suoi esiti e, qualche volta, nel suo farsi - sempre nella mia parte di ‘spettatore che ricerca sullo spettatore', naturalmente.
A dieci anni di distanza, per questo Focus, Letizia mi assegna come tema da svolgere: Il tenace soldatino di piombo . Dovrebbe essere una sorta di recensione, vale a dire: un'analisi dello spettacolo e un giudizio, scritti; non è nelle mie corde né nelle mie abitudini, ma ci provo partendo subito dal giudizio (per togliermi il pensiero): trattasi dello spettacolo più armonioso e riuscito delle Apparizioni e tra i più belli di tutta la produzione di Teatro Ragazzi degli ultimi anni - il successo e le tante repliche ne danno testimonianza, del resto.
Quanto all'analisi, mi limiterò, qui, a fissare le tre questioni attorno a cui imbastire un seminario, e dunque un dialogo dal vivo (orale), nel caso in cui, per qualche congiuntura astrale favorevole, si trovasse un gruppo di spettatori disposto a incontrarsi, senza telefonino, in tempi distesi, possibilmente in luoghi ameni, con l'unico scopo di entrare dentro e a fondo dell'esperienza di aver assistito all'avventura del nostro soldatino innamorato – operazione che è anch'essa un'avventura, peraltro…
( A dire il vero, però, è pur successo, che una volta, a Spoleto, per una replica domenicale per famiglie dello spettacolo, con i compagni di ricerca della Casa dello Spettatore, ci siamo dati il tempo, prima della visione, per una lettura profonda del testo di Andersen… )

 

 

1. La fiaba di Andersen

La mutazione della materia di cui è fatto il soldatino da stagno a piombo, è un primo piccolo segno di variazione rispetto alla fiaba di riferimento dello spettacolo, altri, più corposi sono: il risolversi della peripezia del protagonista all'interno della stanza senza le disavventure all'aperto dell'originale, la eliminazione degli umani abitatori della casa in cui la stanza dei giocattoli si trova e relativa interazione tra i due mondi, il rogo d'amore nella stufa di soldatino e ballerina, accennato come possibile ed eventuale, dopo che è però è andato in scena il meraviglioso lieto fine…
– Come la fonte Andersen è stata ‘fatta propria' , cosa è stato preso, cosa è stato tralasciato, che cosa è stato aggiunto? Nell'ipotetico-utopico seminario di cui sopra, ecco, partirei da queste domande (dopo lettura del testo narrativo, beninteso) per analizzare una prima dimensione dell'operazione drammaturgica del duo Pallara-Malorni; anticipo che nell'occasione vorrò argomentare la mia convinzione che hanno dialogato con Andersen in devozione e libertà.

 

2. Il film da palcoscenico

Due personaggi vestiti di nero si presentano nella scena zeppa di giocattoli di ieri e di oggi; sono, per lo più pupazzi, doppi/simulacri di entità umane o antropomorfe: gli attori del gioco drammatico dei bambini di ieri e di oggi, insomma. Fanno sapere che lì nelle notti di pioggia il più vecchio tra i giocattoli, che scopriremo subito essere una figura di vecchio ieratico (a distanza di un paio d'anni, non più animato ma sostituito da Valerio Malorni lo scopriremo protagonista di un altro spettacolo delle Apparizioni…) << ha il potere di risvegliare tutti gli altri giocattoli e farli vivere fino all'alba >> e stanotte farà vivere la sua ‘strana' storia a un soldatino di piombo senza una gamba, new entry della stanza. Loro, sul palcoscenico già trasformato in stanza di giocattoli, non racconteranno la storia, dicono: la trasformeranno in film. Più precisamente, ad avvenire è questo: i due, l'uno dando voce al protagonista e l'altro agli altri personaggi della storia, dinanzi a noi, ‘giocano', animando le figure, come avviene ed è avvenuto in tante stanze di giocattoli, e contemporaneamente riprendono il loro gioco e lo proiettano in uno scherno alto a fondo scena: di qui la visione simultanea di un ‘film in diretta' e dell'azione scenica che lo produce. È come se vedessimo quello che nel gioco drammatico visto da fuori non si vede (ma del resto è noto che è un genere di gioco in cui bambini non vogliono pubblico), vale a dire le intenzionalità, le emozioni, il diverso peso dati ai vari momenti e oggetti da parte di chi gioca. Ora, questo dispositivo è la seconda dimensione della operazione drammaturgica del nostro duo, e c'è da dire che se non è inedito sulla scena del Teatro Ragazzi e non solo (da quando è possibile sul piano tecnico, praticamente), rare volte ha la necessità che troviamo qui, senza contare la maestria e la fluidità con cui viene gestita la compresenza delle due dimensioni…
(per ogni oggetto solido che si rispetti, le dimensioni sono tre e qui la terza, direi, è la musica, che viene da una sorgente esterna, commenta tutto il tempo e colloca il film nelle plaghe dove il film è più film: a Hollywood, con un abbandono non esente da ironia e che certo colpisce al cuore i genitori e i nonni che accompagnano i bambini a teatro…- io, per esempio erano più di cinquant'anni che non sentivo la musica di Scandalo al sole !)
- Le questioni che porrei su questo aspetto del lavoro sono due (ma così piene di sotto-questioni che è come se fossero cento): il rapporto tra teatro e gioco oggi, rispetto al teatro e rispetto al teatro ragazzi in particolare, e il ruolo che gioca, oggi, in teatranti e spettatori, l'essere cresciuti immersi in film e filmati (anche se non chiamati così lo sono) d'ogni genere, in diretta e in differita, anche se ben pochi su grande schermo e la gran parte in piccoli e piccolissimi schermi…

 

3. I due interpreti e la morale della favola

Chi sono i due operatori-attori in scena? Qui il critico improvvisato passa la mano all'amico (capita anche ai critici non improvvisati, che però occultano il passaggio) che conosce i due interpreti anche fuori scena e sa che Fabrizio è padre di due bambine e Valerio di due bambini e una bambina. Bene, ogni volta che vedo lo spettacolo, dinanzi all'agio, alla gioia, alla complicità divertita con cui mettono in scena la storia del soldatino intrepido che, a dispetto dell'handicap iniziale, trova nell'amore per la ballerina, il senso (significato e direzione, insieme) alla sua vita e insieme la forza di affrontarne le prove, non posso fare a meno di pensare che sono due padri giovani, e quindi ancora in grado di giocare, che partecipano ai loro figli reali e simbolici (il pubblico destinatario), attraverso il linguaggio che loro appartiene, una storia che fa dell'amore la stella polare dell'esistenza e … che costituisce l'antefatto mitico della loro presenza nel mondo.
- Su questo punto la questione, stagionata e magari antiquata, è della liceità o almeno utilità, di trovare un senso (significato e direzione, insieme. anche qui) in uno spettacolo e in particolare in uno spettacolo per bambini - che certo, però, se uno li sceglie come destinatari di una comunicazione complessa come quella teatrale, una qualche ipotesi dell'effetto che fa e si vorrebbe facesse, lo dovrà pur avere, no?

 

 

Il tenace soldatino di piombo. Un film da palcoscenico
da H.C. Andersen
un'idea di Fabrizio Pallara
di Valerio Malorni e Fabrizio Pallara
con Valerio Malorni, Francesco Picciotti, Fabrizio Pallara
Teatro India, Roma, dal 22 al 25 febbraio 2018

 

 

I musicanti di Brema : ‘l'orizzonte irraggiungibile per continuare a camminare'

di Letizia Bernazza

I musicanti di Brema è l'ultimo lavoro del Teatro delle apparizioni proposto in prima assoluta dal Teatro di Roma. Non posso mancare. Arrivo al Teatro India con notevole anticipo. È la mia caratteristica. Lasciarmi dei margini di tempo prima dell'inizio dello spettacolo, mi consente di registrare gli umori e le reazioni del pubblico. Lo dico e lo scrivo sempre, a costo di ripetermi.
Alle 15.30, l'India è già affollato. Bambini, genitori, insegnanti, addetti ai lavori, persone comuni riempiono con entusiasmo lo spazio del lungotevere Gassman. Entro. A fatica trovo un posto. Subito dopo, il buio. Il silenzio, rotto soltanto dal naturale vociferare dei più piccoli, avvolge magicamente la sala e la favola dei Fratelli Grimm comincia.
Sul palco i due interpreti, Tamara Bartolini e Michele Baronio, fanno rivivere con straordinaria energia, fisica e vocale, gli episodi raccontati dai due studiosi della lingua e della cultura tedesca divenuti famosi per aver raccolto e dato voce al patrimonio culturale della favola, un'eredità ritenuta fondamentale per affermare l'identità di una nazione che si preparava a realizzare la propria unità politica.
Lo spazio scenico è popolato di tante cassette da frutta verdi. Le stesse, o simili, utilizzate per tracciare il viaggio del Labirinto (presentato al Macro-Testaccio di Roma nell'ambito di Romaeuropa Festival Kids nel novembre scorso https://www.liminateatri.it/labirinto.htm ).
L'oggetto è la metafora di un divenire , di un percorso, che si traduce nell'evocazione di situazioni e di luoghi attraverso il lavoro d'attore. La regia, attenta e rigorosa, di Fabrizio Pallara affida, infatti, a Tamara Bartolini e a Michele Baronio la responsabilità di agire tra quelle cassette, montate, smontate, ‘abitate', a seconda dei contesti narrati e finalizzate a ‘estendere', ‘dilatare', ‘dare corpo' all'immagine della spedizione del gruppo di animali. Michele Baronio ha il ruolo di interpretare i quattro animali – un asino, un cane, un gatto e un gallo – che vissuti in quattro diverse fattorie, ma tutti vessati e allontanati dai padroni perché ormai invecchiati e quindi non più abili a svolgere i compiti loro assegnati – decidono di andare a Brema per diventare musicisti nella Banda della città.
<<Ma Brema dov'è?>> è il l eitmotiv che ricorre nella messinscena sottolineato con alacre riflessione dalla Narratrice Tamara Bartolini. Brema è una metà che - per dirla con le parole dell'intellettuale uruguaiano Eduardo Galeano riportate nello spettacolo - è un <<… orizzonte irraggiungibile>>, ma necessario, <<… per continuare a camminare>> e per andare verso territori sconosciuti, malgrado il traguardo si sposti via via sempre di più. Brema è l'obiettivo inafferrabile di un'utopia che stimola, grandi e piccoli, a tentare di superare le nostre stesse possibilità fisiche ed emotive.

 


foto di Margherita Masè


Nella messinscena, i quattro animali, tracciano il procedere della storia. Michele Baronio, accompagnato dalla sua chitarra elettrica e dopo aver intonato le note della canzone Lavorare con lentezza del cantautore pugliese Enzo Del Re, si fa corpo e voce dell'asino, del cane, del gatto e del gallo. Fa il verso di ciascun animale, senza alcun ovvio compiacimento. Tamara Bartolini, dal canto suo, annoda i fili del racconto fino all'arrivo dei quattro nella casa dove alcuni briganti stanno consumando una lauta cena. Molto intenso il momento i cui i nostri eroi riescono a mettere in fuga i malfattori-iene. L'uno sulla schiena dell'altro - ragliando, abbaiando, miagolando e cantando - spaventano a tal punto i loro nemici da impossessarsi dell'abitazione. Dietro alle cassette verdi e calzando bellissime maschere, i due interpreti ci fanno rivivere il riscatto di coloro i quali sono ormai diventati nostri affezionati compagni di avventura. Perché quello che conta è che essi non si siano arresi: l'asino incapace di caricarsi i sacchi di farina; il cane non più così efficiente a fiutare le piste; il gatto che non riesce a catturare topi e il gallo la cui tragica fine è ormai soltanto la pentola, hanno saputo scorgere nell'unione il coraggio di andare avanti e di scoprire <<cosa c'è oltre ciò che si conosce, imparando a desiderare e trovando lo spazio per farlo>>.
Molti dei piccoli spettatori presenti al Teatro India, conoscevano la favola. Almeno quelli a me vicini non hanno perso l'occasione di intervenire e addirittura di anticipare alcuni dialoghi della storia. Ho registrato una partecipazione costante. Non importa, allora, se non avranno compreso i sottili riferimenti alla <<fatica del lavoro veloce, mal pagato>> o alla <<celebrazione della produttività>> tanto esaltata dalla società contemporanea. Sono sicura che avranno afferrato quanto contino l'amicizia e i sogni al di là delle differenze. Perché nessuno potrà negarci, se lo vogliamo, un tetto e qualcuno da amare.
Nel finale, sono le note de La mia banda suona il rock di Ivano Fossati a eccitare la platea. I grandi ripetono parola per parola il testo. I piccoli seguono il ritmo e battono con entusiasmo le mani. Non sanno, ma lo scopriranno, che anche la canzone dell'autore genovese è un'esaltazione della musica come mezzo di comunicazione universale che abbatte le frontiere e si spinge anche laddove l'uomo da solo non riesce ad arrivare.

 

 

I musicanti di Brema
uno spettacolo di Bartolini/Baronio e Fabrizio Pallara
con Tamara Bartolini e Michele Baronio
regia Fabrizio Pallara
musiche dal vivo Michele Baronio
immagini a cura di Maddalena Parise
Teatro India, Roma, dal 17 al 18 febbraio 2018