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Il lavoro di vivere

di Sergio Roca

 

Una delle messe in scena più belle, sia registicamente che attorialmente, che ho visto finora nella stagione in corso: questa è senza dubbio la sensazione che ho avuto uscendo dal Teatro Piccolo Eliseo di Roma dopo aver assistito a una replica de Il lavoro di vivere di Hanoch Levin (per l'ottima e precisa regia di Andrée Ruth Shammah), uno dei più grandi drammaturghi israeliani contemporanei, scomparso prematuramente nel 1999.

Una scena realista, con al centro un gran letto matrimoniale: è una camera da letto anni '70, di una qualunque città in un posto qualunque, che accoglie lo spettatore quando, l'assistente di scena, chiama gli attori al loro impegno recitativo col classico: “chi è di scena”. La quarta parete è metateatralmente aperta mentre lo spettatore diviene, forzosamente, “anima viva” nel palcoscenico dove uno stupendo Carlo Cecchi con una eccezionale Fulvia Carotenuto, assieme ad un perfetto Massimo Loreto, danno mostra ad un “interno” familiare che per la sua semplicità, risulta essere una u-topia, nell'accezione dell'originale significato greco, talmente spinta da essere un luogo “ovunque” del mondo reale. Una camera da letto come tante dove una coppia, avanti con l'età, con un'unione trentennale, si confronta, prima, con le inquietudini di lui. Un uomo che si sente castrato, ridimensionato, dal ruolo impostogli dall'impegno matrimoniale assunto trent'anni prima. E successivamente di lei, donna molto concreta sulla cui concretezza si è poi fondata la durata del rapporto stesso. La storia, in fondo, la raccontano le lenzuola di quel letto della stanza in cui si svolge tutta la rappresentazione. Le lenzuola sono le testimoni, mute, del rapporto di questa coppia: lenzuola che vengono girate, riordinate, cambiate, emblematiche di un interminabile tran tran, che pur dovrà interrompersi. Amore nato dalla passione dei corpi e declinato nell'invecchiamento di quei corpi che, come dice lo stesso protagonista, sono “scaduti”. I tentativi di lui di andare via e di lei di rassicurarlo per farlo restare sono scene di vita quotidiana che quasi tutte le coppie di “lungo corso” hanno vissuto. L'inversione dei ruoli, ad un certo punto, porta alla consapevolezza che la libertà, nella vita matrimoniale, non viene negata dall'altro (in questo caso dall'altra), ma proprio dallo scorrere del tempo stesso che riduce gli spazi e le possibilità di empito vitale di ogni essere umano. Poi l'intrusione, in piena notte, dell'amico di famiglia, single e in preda alla solitudine, al quale il protagonista aveva prestato un cappello quindici anni prima, rimescola le carte, rendendo chiaro che la solitudine è un sentimento personale indipendentemente da chi abbiamo vicino e dal fatto se abbiamo qualcuno accanto. L'intrufolarsi dell'ospite nel talamo nuziale provoca il fin troppo prevedibile epilogo della vicenda. Con il placarsi degli animi, la moglie cinquantaduenne, affettuosa e calata appieno nel suo ruolo familiare, cambia le lenzuola del letto dove, di lì a poco, il protagonista verrà stroncato da un infarto. In complesso un lavoro di alta qualità dove il sorriso, amaro, di un vissuto noto ai più è quello che può scaturire dal guardare le proprie miserie quotidiane dall'abbattuta quarta parete. Il testo, però, mi pare essere un po' troppo prevedibile e poco frizzante. Facendo qualche paragone, potrebbe sembrare una scrittura alla Brecht, privata dell'assurda e critica ironia di questi; o anche una sit-com per il pubblico televisivo italiano, quali erano le scene di Casa Vianello senza i ritmi e le gags comiche di Sandra e Raimondo. Ciò non toglie, però, che la pièce , puro teatro di parola, permette, nella loro messa in scena, sia a Cecchi che alla Carotenuto, evidentemente in produttivo accordo con un'azzeccata regia, di impostare i loro personaggi secondo i propri stilemi recitativi più sicuri e tipicizzati: un sornione Cecchi ha soprassalti di rabbia, paura, panico esistenziale contrappuntati dal suo consolidato ed efficace understatement recitativo. A lui risponde e corrisponde una credibilissima Carotenuto molto ben calata nel personaggio della moglie tutta casa lavoro e famiglia, angelo salvatore della famiglia stessa.

 


crediti fotografici di: Fabio Artese

 

Il lavoro di vivere

di Hanoch Levin

adattamento Andrée Ruth Shammah

traduzione dall'ebraico Claudia Della Seta

regia Andrée Ruth Shammah

con Carlo Cecchi, Fulvia Carotenuto, Massimo Loreto

collaborazione alle scene Gianmaurizio Fercioni

collaborazione ai costumi Simona Landoni

collaborazione alle luci Gigi Saccomandi

musiche Michele Tadini

Teatro Piccolo Eliseo, Roma, fino al 5 marzo.