IL SOGNO DEL TEATRO. Cronaca di una passione
Dacia Maraini, Eugenio Murrali – Rizzoli, Milano, 2013
di Giorgio Taffon
Avendo ora nelle mani l'attesissimo, e appena pubblicato dalla benemerita Rizzoli, libro di Dacia Maraini ed Eugenio Murrali IL SOGNO DEL TEATRO. Cronaca di una passione, prefazione di Dario Fo, credo sia utile ricordare i vari contributi scritti che dal 2000 ad oggi aiutano a ricostruire le esperienze e le vicende teatrali della nostra grande scrittrice, drammaturga e “donna di teatro”. Innanzi tutto testi della stessa autrice: nell'anno 2000 viene edita, in due volumi, la raccolta di buona parte del teatro scritto di Dacia Maraini, dal titolo Fare teatro 1966-2000 . Nel 2001 si ha una riedizione sempre per la Rizzoli, in 5 volumetti, di una crestomazia dei testi compresi nella precedente edizione, suddivisi per decadi, come nella edizione precedente: anni Sessanta, Settanta, Ottanta, Novanta (in due tomi). A tutt'oggi dobbiamo ancora ricordare diversi testi scritti dopo l'anno 2000, per lo più pubblicati dagli editori Ianieri di Pescara, e Perrone di Roma (qui ne cito solo due, e cioè Passi affrettati , del 2007, e Per proteggerti meglio, figlia mia , del 2008 entrambi nella collana I quaderni di Gioia di Ianieri, il secondo dei quali è arricchito da un'illuminante postfazione di Ferdinando Taviani, che è la laudatio pronunciata in occasione del conferimento alla scrittrice della laurea honoris causam da parte dell'Università di L'Aquila nel 2005). In tutto possiamo annoverare ben oltre novanta testi drammaturgici, piecès che segnarono e segnalano un lungo continuo intenso iter di una vera “donna di teatro”, e non solo di una “scrittora”-drammaturga, come d'altra parte vuol significare, implicitamente, lo stesso titolo della raccolta Rizzoli del 2000.
Dal punto di vista critico ed ermeneutico, se escludiamo, appunto, le riflessioni del citato Taviani (tra l'altro sollecitato dall'attribuire a all'autrice un importante riconoscimento qual è la Laurea honoris causam in Studi teatrali), oltre a quelle di Laura Mariani, nel suo saggio Un teatro con le donne al centro e di Gerardo Guccini, Voci insistenti, recitanti, angeliche. Il teatro “sentito” di Dacia Maraini , entrambi compresi in Dedica a Dacia Maraini , a cura di C. Cattaruzza, della casa editrice triestina Lint, uscito nel 2000, solo recentissimamente è stata davvero colta la fondamentale “presenza” di Dacia Maraini “donna di teatro” nella cultura italiana, da Gioconda Marinelli e Angela Matassa, Dacia Maraini in scena con Marianna, Veronica, Camille e le altre (Pescara, Ianieri, 2008) libro che ricapitola tutta l'avventura teatrale di Dacia, fino al 2007; quindi va segnalato lo studio linguistico della valente studiosa e drammaturga Silvia Calamai, Dalla parola al palcoscenico: le lingue di Chiti, Malpeli, Maraini, Russo, Scimone, Tarantino , in Varietà dell'italiano nel teatro contemporaneo. Atti della giornata di studio , a cura di Stefania Stefanelli, Scuola Normale Superiore, Pisa, 2009; e poi le pagine della seconda parte del fondamentale volume che contiene gli atti di un convegno dedicato alla Maraini, nel 2009 presso l'Università spagnola di Valencia: mi riferisco a SCRITTURA CIVILE. Studi sull'opera di Dacia Maraini , a cura di Juan Carlos de Miguel y Canuto, Roma, Giulio Perrone editore, 2010; in particolare si vedano gli interventi di Franca Angelini, Ferdinando Taviani, Antonio Tordera, Carlo Dilonardo, Giorgio Taffon. E ancora vorrei ricordare il contributo di una giovane studiosa della Università a cui appartengo, Claudia Messina, e cioè il suo Per un teatro necessario. La prima drammaturgia di Dacia Maraini , in “Scaffale aperto”, n. 3, 2012. Infine non mancano naturalmente studi di ottima impronta su singoli aspetti della scrittura teatrale della Maraini, a partire da quelli dello stesso Murrali, tutti segnalati nella pressoché completa Bibliografia a fine di volume.
Ecco quindi che Il sogno del teatro giunge del tutto opportuno, come opera che troppo umilmente nella sua Premessa Murrali sostiene essere solo “un inizio”, ma che in realtà viene a fissare, ad offrire alcuni punti fermi di una lunga storia teatrale, come “un'evocazione dolce ma profonda”. Essi sono: una densa Conversazione tra i due autori del libro, in cui, sollecitata da domande molto pertinenti, la Maraini ricostruisce decennio per decennio le sue esperienze, ben consapevole che, a parte i testi scritti che certo “restano”, anche se magari “durano” meno nella memoria di determinati artisti (attori), tutti gli altri aspetti del “fare teatro” permangono solo nella memoria e nella testimonianza diretta di chi ha fatto teatro. Certamente lungo la Conversazione l'autrice ribadisce molte convinzioni già espresse in altre sedi circa la sua poetica drammaturgica e teatrale, circa il significato di molte delle sue opere, e circa il suo impegno pratico e di politica teatrale-culturale. A mio parere va sottolineato che lo sguardo di Dacia ha un campo visivo ben più ampio di quasi tutti i nostri drammaturghi, in quanto conoscitrice dei teatri anche europei e d'oltreoceano, viste le numerose messe in scena di suoi testi drammatici realizzate, appunto, all'Estero. Nel paragone coi teatri stranieri, e forse in qualche modo “estranei” alla cultura e alle abitudini teatrali italiane, la Maraini ha saputo “fotografare” la nostra situazione, con rapide riflessioni presenti a p. 77 del volume: “La rinascita non può che passare da una nuova creatività. […] Un nuovo teatro […] non può che nascere da una felice congiunzione fra nuove idee drammaturgiche, nuove idee registiche e nuove idee di recitazione. […] Ripeto: il teatro è quel luogo miracoloso in cui la lingua scritta si coniuga con la lingua parlata.”.
Se dal punto di vista del “successo”, o, più propriamente, della riconoscibilità sicura, come afferma Murrali, di certo la Maraini ha pagato un certo dazio a causa della sua più preponderante figura di grande narratrice, io aggiungerei però che, anche sulla scorta delle pagine della Conversazione, la nostra autrice, come altri “letterati” italiani (da Alfieri a Pasolini, a Testori), nel suo essere tra confini, in una sorta di extraterritorialità, ha saputo assieme partecipare ma anche contemporaneamente star fuori rispetto ai fasti, alle ufficialità, agli obblighi del teatro convenzionale maggioritario. Forse tutto deriva dalla sua personale filosofia di vita, o “segreto della vita”, imperniata, come ricorda Barbara Amodio, a p. 168, su “Il distacco”: cioè sulla compresenza di immedesimazione nelle cose e nelle persone, e negli eventi, e di distanza dalle cose persone eventi, ecc. E non è, questa, una teatralissima visione delle cose? Tipica dell'attore che deve saper essere freddo e caldo? O del drammaturgo che deve saper essere, oggi, come Dacia è, assieme brechtiano e pirandelliano? O come deve saper essere il regista, e Dacia lo è, che deve saper star fuori dalla scena, pro spettatore, ma anche dentro la scena pro attore, e saper abitare un fra ?
Pagine davvero irrinunciabili sono quelle della sezione Testimonianze, con in apertura due scritti rispettivamente di Luca Ronconi e di Eugenio Barba, suddivisa per fasi storiche del lavoro teatrale marainiano, con in immediata evidenza un bellissimo intervento dell'amica di una vita, Piera Degli Esposti; e così via incontriamo poi Herlitzka e la Omaggio; la testimonianza offerta da Franca Valeri; e quelle dei compagni degli anni Sessanta-Settanta, Paolo Bonacelli, Carlo Cecchi, Riccardo Reim, Saviana Scalfi, Antonio Calenda, Maria Giustina Laurenzi, Remo Girone, Victoria Zinny, Daniela Altomonte, Duska Bisconti, Paola Pozzuoli, Yoi Maraini; e ancora gli interventi di Renata Zamengo e Ugo Gregoretti; quelli di Mariangela D'Abbraccio ed Elisabetta Pozzi; e proseguendo leggiamo le parole di Nicolette Kay, Barbara Amodio, Gian Luigi Pizzetti, Rosalina Neri, Hervé Ducroux, Ninetto Davoli, Milena Vukotic; e infine una serie di interventi circa le collaborazioni con Raffaella Azim, Nino Bernardini, Ascanio Celestini, Arturo Cirillo, Emma Dante, Emanuela Giordano, Anna Maria Guarnieri, Monica Guazzini, Paola Mannoni, Simona Marchini, Arnaldo Ninchi, Vincenzo Preziosa, Lorenzo Salveti, Andrée Ruth Shammah, Carlina Torta.
Questo lungo elenco, qui davvero scarnificato completamente, al lettore attento può apparire in più modi, con tagli diversi:
come dimostrazione che ogni persona esistenzialmente e socialmente si costituisce e vive come polo di molteplici relazioni umane e culturali;
come racconto e memoria di relazioni che ancor di più a teatro s'intensificano, quando, come afferma Taviani, il suo ri-uso, in tempi in cui quasi non esiste più un mercato delle arti dal vivo, va oltre il fatto puramente estetico o quanto meno comunicativo, per divenire atto di vita, battaglia politica, creazione di spazi liberi, anche a costo di rimetterci economicamente;
come rivisitazione, per chi ha vissuto gli anni raccontati, più o meno nostalgica, più o meno accompagnata da un nodo in gola, di esperienze vissute, di incontri realizzati, di opere svolte; come reviviscenza di persone che o non ci sono più fisicamente, o non abbiamo più incontrato;
infine le così tante testimonianze fanno storia , storia del teatro, che è una storia che si può fare solo con testimoni e documenti che ci rinviano indirettamente e implicitamente alle opere: a teatro non c'è davanti a noi un'opera, sul palco ci sono degli artisti, quando lo sono, che agiscono: ci sono gli autori dello spettacolo, e dietro c'è l'opera; mentre in letteratura o in arte davanti a noi c'è l'opera (libro, quadro), dietro c'è l'artista.
In tante di queste testimonianze ci appare Dacia che sembra davvero consapevole che sulla scena andranno i suoi attori, e che lei resterà dietro, e da qui la sua umiltà, la sua capacità di coniugare a teatro umiltà e nobiltà, basso e alto, cultura bassa e cultura alta, differentemente che nella letteratura tout court o nella poesia scritta.
E a proposito di poesia, il volume comprende anche otto poesie a riprova di quanto l'attività teatrale occupi il suo sentimento di vita: sono liriche che connotano la passione teatrale di Dacia Maraini, con tutte le spine che l'hanno fatta, appunto, patire, ma anche con quei momenti di “grazia” che il “fare teatro” può a volte donare: dono raro quanto miracoloso!
Un passaggio importante è costituito dal breve ma intensissimo saggio ermeneutico sul teatro marainiano svolto da Eugenio Murrali, che sa andare oltre le ormai appurate tematiche della drammaturgia e della letteratura teatrali di Dacia. Il suo percorso, del tutto tracciato con sicurezza teorica, originata dai suoi studi classicistici, e con acutezza interpretativa, dimostra come nel teatro della Maraini si può e si deve individuare un fil rouge che pone in contatto e mette in corto circuito “verità” (e\o anche spirito critico) e pazzia, quest'ultima o imposta come castigo o scelta, pirandellianamente, come unica possibilità.
Per concludere, il volume offre tutte le trame dei più di 90 testi drammatici della nostra drammaturga, e le indicazioni, testo per testo, della loro prima messa in scena. E infine offre una Teatrografia delle rappresentazioni all'estero, la bibliografia delle opere, l'elenco dei premi ricevuti, la bibliografia generale, materiali iconografici a volte divenuti davvero rari, e gli indici.
Posso dire che questo libro sa via via, nel succedersi delle pagine, non solo mettere a fuoco chi è Dacia Maraini nel teatro italiano, ed europeo, ma anche quali valori incarna l'attività teatrale nel cuore, nel pensiero, nell'animo di Dacia Maraini.
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