In cerca d'autore. Studio sui "Sei Personaggi"
di Giorgio Taffon
Di questo spettacolo ronconiano-pirandelliano mi resteranno nella mente e nella memoria per lungo tempo alcune immagini difficilmente obliabili: il grande spazio tutto bianco su cui si muovono i giovani attori, una sorta di contenitore astratto dove si generano ipotesi di personaggi: la mente dell'autore-Pirandello che proietta su un suo palcoscenico mentale le visioni immaginate. Eppoi i personaggi femminili tutti vestiti da lutto, in nero, con estrema semplicità e nuda essenzialità. E ancora Il Padre con quella sua larga giacca che può richiamare (il testo è, nella prima edizione, del 1921) personaggi coevi alla scrittura pirandelliana: quelli perdenti e grigi di un Kafka, come pure, in antitesi grottesca, un Charlot. E ancora, l'aggirarsi dei Sei, a volte con gestualità sincopata ad esprimere disagi psicotici, in quello spazio della mente, strisciando quasi a protezione sulle pareti laterali, alla ricerca di una liberazione da quella prigione che non gli concede libertà; una prigione che è poi nella testa dell'autore, nella virtualità del suo pensiero. Tutto è essenzializzato: il regista anche di fatto drammaturgo, ha tagliato molto del testo pirandelliano (ma senza toccare minimamente i passi mantenuti), lasciando strutturalmente tutti i fili drammaturgici che compongono la trama relativa alle vicende e ai rapporti dei sei personaggi, e al loro auto(re)citarsi, cosicché l'altra compagine, quella degli attori e delle maestranze della compagnia che sta provando, col suo Capocomico, resta presente quasi come testimone, al pari di noi spettatori. Manierismi, trovate e <<contorsioni linguistiche>> vengono cosicché eliminati.
Viene eliminato il pirandellismo. La chiave di lettura registica usata da Ronconi permette di non perdere la minima credibilità dato il divario d'età tra i giovanissimi attori diplomati all'Accademia d'Arte Drammatica e i personaggi pirandelliani: proprio perché tutti non rinviano a una realtà empirica, ma ad un livello di realtà immaginale (mentale), proprio come dètta, d'altra parte, l'elaborazione pirandelliana del testo e la sua “filosofia dell'arte”, e come afferma il testo stesso nell'edizione pressocché definitiva ( princeps ) del '25, dove in chiusura e in didascalia si ricorda la presenza da lontano dell'autore che “vede” i suoi sei personaggi chiedere una definitiva e compiuta venuta al mondo dell'arte. Certamente è appropriata la definizione di “studio” che compare anche nel titolo, e che non mi pare voglia esprimere né una posizione di più o meno finta modestia, né un mettere avanti le mani. Lo spettacolo si presenta come compimento di un percorso certamente partito come studio , data anche la giovanissima età degli interpreti: certo, l'impresa, che è durata circa due anni, non poteva che essere portata a termine dal nostro più grande regista e dal suo sapersi mettere non al servizio dei testi, ma saper ingaggiare un duello con essi senza doverli demolire, o negare, o ri-fare. Mi si conceda dunque, ora, a complemento, di riportare un paio di pagine di un mio non recentissimo studio sui Sei personaggi , che credo possa prendere bene le mosse dalle ipotesi interpretative ronconiane, e che, anzi, ho ritoccato ora proprio sulla scorta della messinscena del regista: a partire da alcune costellazioni tematiche, presenti nell'ideazione dell'intreccio, in particolare i passaggi riferibili alla <<commedia da fare>>. Ci si deve riferire, dunque, a mio parere, in particolare al dramma che vivono gli stessi personaggi, alla loro conflittualità insanabile, a quel taglio dell'alterità che tiene separati gli uni dagli altri; poi, alle problematiche legate al rovello della creazione artistica; prima fra tutte la pirandelliana teoria dell'autonomia di realtà creata (risalente alle teorie sull'organicità di Goethe) per forma del personaggio, organica creatura superiore alle persone empiriche, fisicamente esistenti. Infine alla riflessione metateatrale, e cioè da una parte alla configurazione, nel testo, di una compagnia legata ai più deleteri clichès del mestiere teatrale in Italia, dall'altra alla possibilità di un teatro altro e alto, utopicamente contrassegnato dalla parola del poeta, da una <<verità>> autentica per forza di poesia che avviene in teatro, dalla ricreazione della vita che gli attori attuano incarnando i loro personaggi. Temi che certamente danno sostanza al testo dei Sei personaggi , ma che, per un lettore (e spettatore d'oggi) appena competente, possono far minor presa: la successiva grande drammaturgia del Novecento, difatti, è andata oltre, fin quasi all'afasia (Beckett); e la stessa prassi scenica, il lavoro di attori creativi (che è anche lavoro su se stessi), le esperienze di Stanislavkji, la teoria di Artaud, fino ad arrivare al teatro povero grotowskiano, hanno in gran parte sciolto i nodi pirandelliani. Un'altra annotazione la voglio porre in forma interrogativa: è bastata la grande perizia tecnica e costruttiva di Pirandello nel mettere in forma un dramma che conserva tuttora ragioni vitali e straordinarie?
E quella capacità riconosciuta da molti suoi esegeti di mantenere sempre in equilibrio il procedere di un'azione irta di contraddizioni, o incongruenze, o vicoli ciechi, o <<bivi>> tracciati con sapienza, come afferma Taviani, in un testo dove il rifiuto, la negazione, la differenza sono sempre sul punto di vanificare il processo creativo? Una perizia che certamente gli deriva dalla garanzia di condurre, da autore, lui stesso il gioco, per cui ogni mossa compiuta è portata all'estremo, al paradosso, ma senza mai sottrarsi del tutto al controllo autorale, similmente, nei modi, a come componevano i poeti per le compagnie comiche dell'arte del Seicento. D'altronde, come viene affermato in chiusura nella prefazione del '25, il poeta <<guardando da lontano per tutto il tempo di quel loro tentativo>> è riuscito a creare la sua opera basandola proprio sulla tentata vita scenica dei suoi personaggi; e sappiamo che sia dall'ultimo allestimento essendo ancora lui in vita, sia dai progetti cinematografici irrealizzati, un'immagine concettuale gli si era fissata: la sua mente entrava in rapporto con la caverna del palcoscenico vuoto, senza altre intermediazioni, e, come un proiettore cinematografico nello schermo, la sua mente andava a riempire di figure immaginate la scena stessa, prima fra tutte quella di Madama Pace; senza intermediazioni (mentre in quello stesso giro d'anni Antonin Artaud andava alla ricerca dell' <<attore trasparente>>, capace di superare la sua materialità e far vivere il suo film interiore.) Credo che si debba tener conto di tutto ciò per sfiorare senza violarla l'intima e misteriosa poesia dei Sei personaggi , cioè la sua capacità di lasciare in noi un segno e di farci sentire, come direbbe Alfio Petrini, spettatori “utili”. Restando ai fatti compiuti e voluti dal Pirandello <<autore empirico>>, resta da dire, comunque, che quei personaggi sono sei, si, ma non formano un sestetto (e il settimo, la signora Pace, poi, è, pure nel nome antifrastico, l'elemento scompaginante, l'in più che sottrae); nessuno è stato capace o non ha voluto riunirli in un intreccio di forte tenuta: né il cosiddetto <<autore cercato>> che ne ha lasciato incompiuto quel dramma che <<non si farà mai>>, né gli Attori che, presi dalla loro routine professionale non riescono a capirli; né essi stessi, recitando il loro dramma, avendo voluto, l'autore, renderli inconsapevoli che la loro ragion d'essere è proprio quella dell'essere rifiutati. Soprattutto è mancato il testo, da cui sarebbe dovuta risultare la presentificazione di un'assenza, la presenza di un'assenza, cioè il riconoscimento corale di quei sei singoli disgraziati nell'unità del dramma da loro vissuto; si assiste al contrario a un'impossibilità, al dramma di un'impossibilità; che è anche l'impossibilità del dramma nelle sue regole <<assolute>>; in questo testo, prima di tutto, vien meno la distinzione tra agire drammaticamente e <<narrare>>, e si attua la stessa scomparsa della <<situazione>> drammatica. E ciò perché sulla scena ognuno è apparso spettatore dell'altro, e non solo i Personaggi e gli Attori reciprocamente, ma i Personaggi stessi tra di loro coi loro rispettivi sentimenti fondamentali, e segnatamente spettatori indifferenti; indifferenti, non giudici, in quanto reciprocamente si vedono ma non vogliono coinvolgersi l'uno nell'altro, si ignorano, si emarginano vicendevolmente, con occhi estranei. Fatalità e angoscia queste che nel <<gran teatro del mondo d' oggi >> impediscono di evocare dal silenzio, e dalle nostre storie, una possibile segreta innocenza: resta forse la necessità che almeno si manifesti la disperazione, per spingerci a dar luogo a una rinnovata realtà da sperare. Dobbiamo così, usando la parola paradossalmente, <<accontentarci>> dei barlumi della loro storia, di qualche lancinante momento da essi raccontato o recitato, di attimi che si ripetono sempre uguali con sempre uguale strazio; quella che poteva essere la <<loro>> grande storia (non un <<pasticcetto romantico>>) non è drammaturgicamente possibile interpretarla. Nel tempo nostro della postmodernità anche i grandi racconti si frantumano, nella compagine umana è sempre più difficile e disperante riconoscersi l'un l'altro; non guardiamo più attraverso il cannocchiale rovesciato di Fileno, della novella Tragedia di un personaggio (una delle fonti del dramma), per distanziare ironicamente il male, ma guardiamo noi stessi e gli altri attraverso un caleidoscopio, attraente, molteplice, multicolore e sempre cangiante, ma sempre a un passo dalla scomposizione. La poesia drammatica dei Sei personaggi ci raggiunge nel dolore gridato della Madre, nella vergogna del Padre, nella nera coscienza della Figliastra, capace però di ripetere quel <<pittoli, pittoli>> che la sorellina diceva dei fiori; infine nel racconto di una vita da personaggi che, invertendola specularmente, riflette le nostre interiori miserie, il flusso sempre interrotto e irripetibile delle nostre azioni.
Quelle azioni che a teatro possono trovare un reale inveramento, come se nel contesto simbolico della scena fosse davvero possibile immaginare e vivere una pienezza di Realtà (come lo stesso Ronconi drammaturgicamente ha voluto sottolineare facendo proclamare ai Sei, a conclusione immodificabile, e in contrasto con la parola Finzione, la parola Realtà, secondo copione pirandelliano)!
di Luigi Pirandello – Luca Ronconi
con gli attori diplomati all'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica "Silvio d'Amico" nel 2010 e 2011: Fabrizio Falco ( Figlio ), Davide Gagliardini ( Capocomico ), Lucrezia Guidone ( Figliastra ), Luca Mascolo ( Padre e Terzo attore ), Sara Putignano ( Madre ), Rita De Donato, Elisabetta Mandalari, Paolo Minnielli, Elisabetta Misasi, Massimo Odierna, Alice Pagotto, Andrea Sorrentino, Remo Stella, Andrea Volpetti, Elias Zoccoli.
regia Luca Ronconi
Produzione Centro Teatrale Santacristina, in collaborazione con Accademia Nazionale d'Arte Drammatica "Silvio d'Amico" e Piccolo Teatro di Milano – Teatro d'Europa
assistente alla regia Luca Bargagna - direttore di scena Francesco Russo - elettricista Luna Mariotti sarta Eleonora Terzi - delegato di produzione Maria Zinno foto di scena Luigi Laselva
Teatro India, Roma, fino al 28 marzo 2013
foto: Piccolo Teatro di Milano
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