I tre operai
di Alfio Petrini
Il testo letterario di riferimento dello spettacolo “I tre operai” è il romanzo omonimo di Carlo Bernari, scritto tra il 1920 e il 1932, quando l'autore lavorava come impiegato in una fabbrica. L'idea nacque dalla necessità di raccontare le condizioni di vita e di lavoro degli operai. Anzi, è dagli operai che partì il suggerimento di fare un libro sulla “classe operaia a Napoli”, come ci ricorda Francesca Bernardini nella introduzione alla edizione del 2005 (Oscar Scrittori del Novecento).
La riduzione teatrale del romanzo è di Enrico Bernard. Il testo linguistico che ne è scaturito è stato utilizzato per la realizzazione dello spettacolo andato in scena al Teatro Lo Spazio di Roma, nell'ambito delle manifestazioni per il ventennale della scomparsa di Carlo Bernari. Un testo letterario, dunque, che è entrato a pieno titolo nella storia della narrativa italiana, per la elaborazione di un testo di teatro che ha prodotto una perfetta sintesi dei contenuti del romanzo.
I dialoghi sono essenziali, dinamici e liberi da ogni forma di populismo demagogico. Si reggono sulla combinazione felice dei movimenti del pensiero e dei movimenti del desiderio di quattro giovani protagonisti (due uomini e due donne) alla ricerca di un lavoro e di un'affermazione sociale che implicasse il riconoscimento della dignità umana. Aspirazioni, sogni, progetti e delusioni s'intrecciano in modo sorprendente con il rischio latente della caduta nelle utopie astratte e nelle infatuazioni ideologiche. Temi ricorrenti in ogni epoca, al centro di azioni umane tendenti al riscatto dalla povertà e dalla condizione di diseredati.
Contenuti importanti, carichi di tensioni attive, presenti sia nella “nazione proletaria” di allora sia nella realtà sociale contemporanea. Del resto, si sa, ci sono opere che invecchiano e opere che durano nel tempo, essendo capaci di parlare al cuore e alla mente del lettore e, come in questo caso, anche dello spettatore. Una operazione drammaturgica, quella di Enrico Bernard, pienamente riuscita che si fa apprezzare anche per avere preventivato con pregnante leggerezza la testimonianza di Franco Barbero nel contesto multimediale dello spettacolo e l'azione scenica del personaggio di Cesare Zavattini in qualità di direttore della Collana I Giovani per la Casa Editrice Rizzoli (1934). In uno spettacolo d'impianto realistico come “ I tre operai ” il miglior modo di recitare è quello di non recitare. Gli attori forse conoscevano questo principio elementare, ma non hanno trovato sostegno in una regia che non c'era.
Siamo sicuri, come dice Bernari, che il romanzo non sia una favola?
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