EditorialeIn itinereFocus Nuove arti visive e performative A sipario aperto LiberteatriContributiArchivioLinks
         
       
 

La luna blu di Oseman

di Carla Di Donato

 

Successo al Teatro Morlacchi per Afshin Varjavandi e il gruppo INC con una prima assoluta: folla di amateurs e spettatori di tutte le età per la danza contemporanea italiana under 30 .

 

Sospeso su un cielo, blu, o nero di stelle già spente, un ombrello rosso à la Magritte è punto di fuga e orizzonte per cinque danzatori, in una sera tra il crepuscolo e la notte, in una immaginaria, surreale, piazza italiana come tante, sul palco di un teatro all'italiana, reale, gremito, caldo. In attesa. Prima assoluta di Oseman / Il cielo in persiano, co-produzione 2017 con Déjà Donné.

Arrivo nella piazza una domenica pomeriggio e vedo, contigui, l'edificio del teatro e dell'Università, di fronte la Biblioteca Umanistica, una lunga fila all'ingresso, poi un botteghino preso d'assalto, platea e palchi affollati di spettatori tra i 10 e gli 80 anni, molti sotto i 18… per la danza contemporanea d'autore, giovane, tra l'altro. Intorno respiro entusiasmo, volti ansiosi di assistere a “quello” spettacolo, merchandising che va a ruba, chi dichiara “ho prenotato subito un posto!”, poi il pubblico di abbonati, gli spettatori della domenica e la stampa che lo conosce già, quel coreografo, dai tempi di Oceania , di toPRAY , e lo ama, dichiaratamente. Altri, tanti altri, si intuisce dai corpi e si conferma nei discorsi colti al volo, sono danzatori, allievi di scuole di danza, e poi… tante piccole ballerine in erba, tra i 6 e i 10/14 anni, che con mamma e papà, una domenica pomeriggio, sono venute qui, a teatro, a vedere la danza contemporanea italiana, di una compagnia che, sebbene alla settima produzione, è interamente under 30 . E non sono andate (o non solo) al cinema a vedere Ballerina.

Qualcosa non torna, mi dico, cos'è “questo” pubblico? Perché è qui? Ascoltandoli scopri che l'hanno atteso questo giorno, questo debutto in prima assoluta, hanno programmato l'evento, si sono assicurati i biglietti con grande anticipo, e, ora, - si conoscono tutti tra loro - finalmente vi partecipano condividendolo, come una festa in un luogo deputato (poi, dopo lo spettacolo, in molti si fermeranno, a piccoli gruppi, a commentare e discutere). Sono spettatori accesi, amateurs, come (pensava agli attori però) li ha definiti lo storico dello spettacolo Nando Taviani. Fenomeno a dir poco raro per la danza contemporanea italiana, pensiamo noi.

Afshin Varjavandi, coreografo di origini indo-persiane, italiano per cultura e residenza, firma ideazione, coreografia e regia di Oseman , spettacolo andato in scena in prima assoluta sul palcoscenico del Teatro Morlacchi e realizzato dal gruppo INC (Inn progress collective-dance-visual-urban art), nato nel 2006, composto dai danzatori performer Luca Calderini, Mattia Maiotti, Jenny Mattaioli, Elia Pangaro, Debora Renzi (tutti tra i 19 ed i 30 anni), alla loro settima produzione, reduci dalla residenza al La MaMa Umbria International di Spoleto che li ha portati anche a New York e dalla partecipazione al Festival dei Due Mondi. Nel frattempo, c'è stata anche un'incursione nel cinema d'autore con una partecipazione al film La Corrispondenza di Giuseppe Tornatore.

Si succedono pulsazione, battito, fluidità ed insieme segmentazione del corpo, dello spazio, della partitura coreografica, delle sequenze ripartite per quadri astratti di “luna blu”, dalla cui riflessione, informa il programma di sala, nasce lo spettacolo, ossia quel fenomeno raro, durante il quale si assiste al sorgere di due lune piene nell'arco di un solo mese. La singolarità dell'accadimento è resa affine dal coreografo ad alcuni rari incontri o all'amore come scelta pura ed incondizionata, qualcosa che fluttua sulle nostre teste come una nuvola, o come quell'immaginario di Magritte e Chagall rievocato esplicitamente nella poetica che pervade lo spettacolo.

In un quadro nudo, al nero, ben reso dal disegno luci di Fabio Galeotti, come una camera oscura in cui precipitiamo da subito per risvegliarci solo nel finale, la danza di Varjavandi è impetuosa, tesa, poi delicata e quasi tenera, le partiture di gruppo, o a due o a tre sono scatti, istantanee contemporanee senz'altro di un anelito, di un tendere verso, di una recherche , che si “fissa” per un beat nel “solo” muto, senza audio, che precede il finale, e sospende il respiro dell'intero spettacolo, di cinquanta minuti, in un battito d'ali.

Varjavandi, di prima formazione e provenienza hip hop/danze urbane, qui dimostra un linguaggio versatile, contaminato, senza dubbio più rivolto alla danza contemporanea di cui ricorrono alcune cifre stilistiche, in particolare nell'uso del gesto che, a partire dal quotidiano, diventa struttura autonoma, indipendente, fino a costituire un vero e proprio sguardo personale sul mondo. Le percussioni sul ritmo e sulla velocità che i corpi incredibilmente virtuosi e fluidi dei danzatori imprimono sono un segno inequivocabile in Oseman . Il cui portato è sì, surreale, evocativo, ma il cui tappeto cinestetico , a partire dal lontano e fondativo uso delle mani nella partitura coreografica di Béjart nel Bolero , fino al recente movimento/linguaggio Gaga del coreografo Ohad Naharin e della sua Batscheva Dance Company, al folle e a tratti vano gesto in Barbarians di Hofesh Schechter, è la memoria del presente, è lo sguardo contemporaneo sulle mille contraddittorie direzioni e sogni possibili di noi, spettatori del firmamento. Volta celeste che però sembra a tratti mancare. Talvolta la danza “si chiude” infatti un po' troppo in se stessa, smemorata di quella mano tesa verso l'alto, verso il cielo, toccato ma non preso, sfiorato e non raggiunto, verso l'amore, la felicità, o la nostalgia di un infinito, che durante lo spettacolo guida e mantiene il fil rouge con lo spettatore.

Qui il linguaggio coreografico che, pur tenendo conto del portato “storico” è originale, frutto di una ricerca personale, in alcuni momenti diventa intimista, cedendo a tratti alla priorità del rapporto dei danzatori con la danza, con il principio del moto. Questo rende Oseman di tanto in tanto poeticamente remoto, come il mare aperto, che nessun essere umano potrà mai dire di aver conquistato.

Ma nulla tange l'applauso scrosciante e la standing ovation che, alla fine dei cinquanta minuti, gli spettatori del Morlacchi donano senza riserve ai cinque generosi ed intrepidi interpreti. Varjavandi, astro nascente (da tenere d'occhio) e docente molto attivo ed apprezzato sul territorio, ha vinto la sua scommessa. Come ricorda il “motto” di Magritte nel programma di sala - I sogni non vogliono farvi dormire, al contrario, vogliono svegliare- ci ha svegliati, appunto, mostrando come la danza contemporanea, quando colma le distanze e trasmette il proprio sapere di corpo in corpo, è per tutti. A tutte le età.

 

 

Oseman / Il cielo

coreografia e regia Afshin Varjavandi

danzatori performer Luca Calderini, Mattia Maiotti, Jenny Mattaioli, Elia Pangaro, Debora Renzi

disegno luci Fabio Galeotti

suono Nicola Fumo

foto Tommaso Todd Montagnoli

produzione D é j à Donn é in associazione con INC Inn progress collective

Teatro Morlacchi, Perugia, 12 marzo 2017