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Anna Amadori e L'Inatteso di Fabrice Melquiot

di Letizia Bernazza

È un bel viaggio per gli occhi e per il cuore dello spettatore, L'inatteso di Fabrice Melquiot proposto da Anna Amadori lo scorso 31 ottobre al Teatro Vascello di Roma nell'ambito de Le vie dei Festival, diretto da Natalia Di Iorio. Peccato sia stata l'unica data romana. Già, perché il lavoro – interpretato da Anna Amadori, che ne cura anche la regia – entra nelle pieghe della scrittura dell'autore francese con audace singolarità, restituendo la leggerezza poetica della memoria e la tenue liricità del ricordo alla base della costruzione drammaturgica. Nella messinscena non ci sono lo spazio e il tempo del dispiegarsi di una trama, di un racconto lineare, bensì il vortice fluttuante di sensazioni, apparizioni, immagini, che trovano concretezza proprio nella loro frammentarietà, la stessa in grado di contraddire la “volgarità del Mondo”.

Anna Amadori dà prova di saper danzare il monologo di Melquiot e di entrare nel ritmo della sua complessa narrazione riconsegnando, l'invisibile celato dietro il visibile di un linguaggio che richiede allo spettatore di intraprendere il proprio viaggio e di perdersi dietro le tracce della storia. Una sorta di moderno “Stationendrama” dove la protagonista Liane ci rende partecipi per tappe della sua vedovanza, del dolore lancinante provocato dalla morte del compagno, del vuoto incolmabile causato dalla sua mancanza. Ma, anche, delle paure e delle nostalgie di un essere umano privato per sempre di un amore, di un affetto grande. Insostituibile. L'attrice incide sul suo corpo i segni prepotenti di tale assenza. E quasi sembra dialogare con essa attraverso una gestualità e una vocalità raffinate che sanno rendere manifesta l'intera gamma di sentimenti suscitati dallo smarrimento del lutto. Non importa tanto sapere cosa sia accaduto nel dettaglio: se l'uomo scomparso sia stato inghiottito da un fiume e dove, oppure conoscere il contesto della vicenda (un Paese africano divorato da guerre e conflitti violenti). Ciò che diventa prioritario è rivelare la dimensione umana della perdita.

Di fronte alla quale si traballa, si prova scoramento e poi si cerca di reagire perché, in fondo, anche una morte prematura fa parte della vita, per quanto sia più difficile da accettare. Anna Amadori restituisce tutti i passaggi interiori, emotivi, del personaggio: lo sconvolgimento iniziale provocato dalla tragedia “inattesa”; il desiderio di resistere e di trovare una via d'uscita per sopravvivere (la relazione fugace con il macellaio); la scelta di diventare fotoreporter per rendersi testimone del tempo, spiraglio di luce che sovrasta l'ombra della morte. Tappe di un viaggio scandite dal lavoro musicale di Guido Sodo e dalle scene di Eva Geatti. Il primo, come viene evidenziato nel programma di sala, è la seconda voce di Liane.

Dal vivo e con grande maestria, infatti, è capace di evocare l'intimo paesaggio della donna, attingendo a universi sonori che spaziano dalla musica antica a quella classica, dalle sonorità elettroniche alle canzoni popolari. Stili diversi che servono a restituire il multiforme stratificarsi dei ricordi con la loro pesantezza e levità, struggimento e leggerezza. Non diversamente dai tanti flaconi colorati che occupano lo spazio e dai quali fuoriescono granelli di sabbia che l'attrice fa scivolare su di sé. Gli oggetti, avvolti da un'aura metafisica (impossibile non pensare ai quadri di De Chirico e di De Pisis), sembrano quasi inghiottiti nel finale dal bianco abbacinante della scena. Il colore terso e omogeneo segna la rinascita della protagonista: il suo desiderio di tornare a vivere e di rimettersi in gioco. Un invito che rivolge anche a noi spettatori. Non a caso, Anna Amadori si congeda attraversando la platea. È così che ci dona la sua ultima carezza, mentre si allontana con il suo vestito bianco e un grande fiore tra i capelli.

(ottobre 2014)

L'Inatteso

di Fabrice Melquiot

ideato e interpretato da Anna Amadori

musica in scena di Guido Sodo

disegno e cura dello spazio di Eva Geatti

luci di Micaela Piccinini

cura del suono Giuseppe Lo Bue