L'ultima domenica
di Sergio Roca
Il palcoscenico di una delle migliori realtà teatrali delle periferie romane, il Teatro degli Audaci, zona nuova di Porta di Roma, ospita dal 19 febbraio al 1 marzo 2015 lo spettacolo L'ultima domenica di Geppi Di Stasio e Andrea Pintucci con la regia dello stesso Di Stasio.
In scena sei figure tra attori e musicisti. Per la parte recitata, oltre a Geppi Di Stasio, troviamo Roberta Sanzò e il piccolo Luca Materazzo. Come musicisti/cantanti, intervengono Andrea Pintucci (coautore dell'opera), Paul Cotronei e Gigi Galante. La presenza di una voce fuori campo (Giancarlo Governi) arricchisce ulteriormente la produzione.
Difficile definire con esattezza il genere di questo lavoro. Personalmente mi verrebbe da definirlo come “teatro di narrazione con ritmi civili”.
La volontà degli autori è quella di offrire un percorso di riflessione sulla violenza negli stadi e come, a partire dagli anni '70, in Italia (ma non solo) la “partigianeria” calcistica abbia avuto serie ripercussioni sulla pacifica fruizione familiare di questo sport. Lo spettacolo è, certamente, da considerarsi di estrema attualità anche pensando agli avvenimenti accaduti, proprio in questi giorni, prima della partita Roma-Feyenoord.
Lo spunto per la commedia è offerto da un evento di cronaca del 28 ottobre 1979. Allo stadio Olimpico di Roma si doveva disputare il derby Roma-Lazio. Dagli spalti della tifoseria romanista venne esploso un razzo che, traversando tutto il campo, giunse a colpire, in pieno volto, Vincenzo Paparelli. Paparelli morirà di lì a poco. La partita, tra l'incredulità di tutti i presenti, venne comunque regolarmente giocata. Erano gli Anni di Piombo, in una Italia sospesa fra la guerriglia urbana e gli attentati delle B.R., e anche il mondo del calcio cominciava a risentire dell'infiltrazione di gruppi violenti tra le tifoserie.
All'aprirsi del sipario, su di un palco privo di scenografia, vi è la presenza fissa sul fondo, dei tre musicisti e i relativi strumenti: Cotronei al pianoforte, Galante al sax e Pintucci principalmente come voce.
Sulle prime Geppi Di Stasio e Roberta Sanzò, inseriti in un ambiente a “scala di grigi”, tendono a richiamare alla memoria i format della TV in bianco e nero, come la sit-com RAI, anni '70, Signore e Signora con Lando Buzzanca e Delia Scala, mentre è la “colorata” presenza del figlio (Luca Materazzo) a ricondurci ai nostri giorni.
Luca rappresenta – nella storia – non tanto la voce della contemporaneità ma colui che indaga, cerca di comprendere, s'interroga sul perché delle cose che lo circondano solo, apparentemente, distratto dal suo fido tablet . Di fatto è figura scenica indispensabile all'esplicazione delle finalità morali e sociali del brano.
Nei primi minuti si ha la sensazione di vivere scenette di quotidianità familiare in cui il tifo calcistico gioca un forte ruolo di coesione e di scissione nello stesso tempo. Successivamente ci si rende conto, però, che un dramma condiziona la vita del protagonista della storia (Di Stasio). Questi, infatti, è sì ossessionato dal calcio, in vista di un prossimo derby , ma è stranamente e maniacalmente terrorizzato dall'idea di recarsi allo stadio per assistere, assieme alla famiglia, alla tenzone sportiva che tanto pare lo appassioni.
Il conflitto interiore viene rapidamente esplicitato. Da bambino, in una festosa domenica di campionato, come potrebbe essere stata quella, raccontata sullo sfondo, dai protagonisti del film di Anton Giulio Majano: La domenica della buona gente (1953), i genitori si recano alla partita con l'impegno, da parte del padre (voce fuori campo di Giancarlo Governi) che, nella giornata di campionato successiva, anche il ragazzo avrebbe potuto accompagnarli. Il padre non farà mai più ritorno a casa. Verrà ucciso da un razzo, sparato allo stadio dalla tifoseria avversaria senza poter onorare la promessa fatta al piccolo. Il ragazzo, divenuto grande, padre a sua volta, non è riuscito, nonostante gli anni trascorsi, ad elaborare tale lutto. È ancora sospeso tra la rabbia per la morte del padre e la rabbia verso quest'ultimo per il mancato scioglimento della promessa fattagli la sera della tragica partita.
È Luca, undicenne figlio della nostra epoca, a divenire voce della coscienza interrogando il padre sui concetti dell'onestà e della correttezza, e ad obbligarlo a confrontarsi con il suo trauma infantile. Il bimbo, disilluso della realtà quotidiana, riesce a mostrargli come oggi lo sport, il calcio in particolare, sia più un business che una disciplina volta ad aiutare le persone a crescere, ad essere limpidi, ad essere uomini come il padre sogna che sia.
La musica dal vivo è usata per sottolineare i momenti topici della vita di quest'uomo, mai pienamente cresciuto causa la prematura scomparsa del genitore, offrendo attimi di estremo coinvolgimento emotivo grazie ai brani originali composti da Andrea Pintucci.
Il secondo atto ha inizio al ritmo dei tamburi, quelli che allo stadio sono vietati, quelli che ricordano le marce di guerra, quelli usati durante frenetici corpo a corpo.
È questo il ritmo che, con la tecnica del teatro di narrazione, scandisce un monologo costituito da un lungo elenco di caduti. Citazione di coloro che sono rimasti feriti o uccisi in un “conflitto” non dichiarato tra vari e improbabili “eserciti”, dove il tifo è solo scusa per dar sfogo a una violenza repressa.
Roberta Sanzò implacabilmente rammenta agli spettatori quanti ragazzi o padri di famiglia non abbiano fatto rientro a casa dopo aver cercato solo qualche ora di svago nel calcio; magari coinvolti in tafferugli dei quali non erano nemmeno responsabili.
La conclusione è quasi un dibattito pubblico, un confrontarsi sui mille mali di questa società. Una visione distaccata degli eventi che diviene monito universale. Impossibile non provare disagio e biasimo per chi propone la morte, propagandandola sui muri, di dieci, cento o mille tifosi della squadra avversaria o chi, invece, medita vendette. Impossibile pensare che leggi vagamente restrittive, come i DASPO, possano realmente garantire una diminuzione degli scontri causati dalle partite di calcio.
Il lavoro, uno strano intreccio tra teatro tradizionale e teatro di narrazione con degli spunti da commedia musicale, sicuramente non delude. Ritengo che L'ultima domenica di Di Stasio e Pintucci abbia perfettamente centrato l'obiettivo: far pensare e strappare qualche sorriso assieme a qualche lacrima.
L'ultima domenica
di Geppi Di Stasio e Andrea Pintucci
regia Geppi Di Stasio
con Geppi Di Stasio, Luca Materazzo, Roberta Sanzò
musiche Andrea Pintucci
musicisti in scena Paul Cotronei, Gigi Galante
aiuto regia Carmen Landolfi
impianto scenografico e costumi GDS
luci e fonica Fabio Massimo Forzato
produzione TDM
Teatro degli Audaci, Roma, in scena fino al 1 marzo 2015
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