Present Continuous
Intervista a Salvo Lombardo
di
Letizia Bernazza
In occasione dell'ormai noto appuntamento romano di Short Theatre, ho avuto l'opportunità di partecipare alla performance Present Continuous del coreografo, performer e regista Salvo Lombardo con il quale è nata, a mio avviso, una conversazione interessante che mette in luce i temi fondamentali del lavoro e il complesso processo creativo sotteso alla sua stessa realizzazione.
Perché Present Continuous ? È corretto istituire una relazione con il ‘tempo inglese' per cui l'attitudine della persona che parla riveste la stessa importanza del momento in cui si svolge l'azione, non ancora completata e/o terminata?
Sì, è corretto. Agli esordi di questo lavoro mi interessava ragionare sulla tendenza ormai comune ad immortalare quante più tracce del nostro quotidiano affidando loro una pretesa di rappresentanza. Mi sembrava che in questa tendenza ci fosse una rivendicazione di esistenza svuotata però, probabilmente, del rapporto ‘reale' con il soggetto in questione. Mi esprimevo pertanto più nei termini di una fotografia di un eterno presente o addirittura di un presente immortale . L'accezione evidentemente assumeva una connotazione di giudizio assertivo che gradualmente ho voluto allontanare. Per questo, dopo le prime fasi di lavoro, mi sono reso conto che sarebbe stato più costruttivo soffermarsi sul tratto di un presente che è ancora in divenire, sulla sua progressione. La definizione del tempo verbale inglese a cui ti riferisci, che di fatto ha influenzato il titolo della performance, contiene in s é proprio il concetto di progressione (non a caso gli inglesi definiscono quel tempo verbale anche Present Progressive ) che mi sembrava calzante nel tentativo di riconciliazione tra un evento passato (anche prossimo) e un'immagine rivolta al futuro; ho pensato che meglio si aprisse al respiro di un tempo a venire, che poi è lo stesso che proprio nella progressione del tempo scenico condividiamo con lo spettatore.
crediti fotografici di: Carolina Falina
Quale è stato il percorso che ha segnato le tappe della scrittura coreografica, considerando che il lavoro presentato a Short Theatre è una chiara prosecuzione della tua indagine volta a riflettere sul rapporto ‘tra memoria, percezione e movimento nell'osservazione del reale'?
Present Continuous è finora l'ultimo, in ordine cronologico, di una serie di lavori che hanno ruotato sui temi che hai citato tu, seppure riferendosi a materiali in alcuni casi molto diversi tra loro che hanno determinato differenti angolature e che mi hanno permesso di allargare la riflessione e di circostanziarla di volta in volta. Tutto è partito con il progetto Casual Bystanders che si è basato prima su un processo di archiviazione del movimento e del gesto dei passanti nello spazio pubblico e che ha generato poi due lavori autonomi (una performance che prende il titolo del progetto) e l'installazione performativa B-side (creata in collaborazione con Isabella Gaff è ) pensata come estensione relazionale di quell'archivio. Subito dopo ho lavorato a Twister indagando le possibili declinazioni di una memoria del movimento che fosse condivisa e trasmissibile a partire dalle dinamiche dell'omonimo gioco di societ à . Questa idea ha imposto imprescindibilmente uno sconfinamento sul concetto di socialit à e di comunit à provvisoria. Da qui il passo che ha portato a Present Continuous era gi à in qualche modo segnato. Per quest'ultimo lavoro desideravo continuare a lavorare su una scrittura coreografica di natura derivativa, fondata sul ready made gestuale e stimolata dal concetto di appropriazione gi à sviluppato, a più ondate, dalle avanguardie artistiche del Novecento. Nel mio caso però la narrazione della realt à come ‘ ripetizione dell'uguale' è stato il pretesto per aprire altre questioni e sciogliere altri nodi che definirei centrali nel mio lavoro in questo momento: ovvero una attitudine intersoggettiva nell'osservazione del reale. Ad un certo punto del nostro processo era evidente che per procedere avremmo avuto bisogno di riferirci ad un evento che ci richiamasse ad una memoria condivisa. Meglio ancora se di natura ordinaria. Qualcosa di prossimo e non eclatante che ci permettesse quell'allargamento deduttivo a partire dal particolare che tanto mi sta a cuore. Perciò ho chiesto ai performer che hanno lavorato con me al progetto (Lucia Cammalleri, Daria Greco e Cesare Benedetti) di impiantare una sessione di lavoro in un music club, per una sola notte. Abbiamo osservato, incorporato e trascritto posture, gesti, frasi e modalit à di relazione delle persone presenti. Il giorno dopo, tornati in sala, ha avuto inizio un lungo processo di condivisione e negoziazione dialettica di quell'insieme di informazioni gestuali partendo da un evento non straordinario che avevamo investito di memorabilit à.
Reale e realtà: partecipando al tuo lavoro, che ritengo di grande sensibilità nell'individuare proprio un reale che resiste al potere dell'interpretazione, sei d'accordo sull'affermazione che reale e realtà non coincidono e che, per dirla con Lacan, << la realtà è il reale coperto dall'immaginario e dal simbolico>>?
Questa domanda comporta una serie di implicazioni che non sono in grado di argomentare sufficientemente in questa sede. Tuttavia sarebbe scorretto da parte mia glissare su una questione così seminale che alimenta il dibattito filosofico e artistico degli ultimi anni - a volte non privo di ridondanze - sul cosiddetto (nuovo?) realismo. I concetti di realt à e reale non sono sovrapponibili. La realt à , che circonda e investe le nostre esistenze, la realt à delle cose del mondo, è qualcosa di indubitabile che accade sotto gli occhi di tutti, è indipendente dalla volont à di ciascuno. Tuttavia, come direbbe lo psicanalista Massimo Recalcati, la realtà è un << quadro senza soggetto>> che potrebbe ripetersi sempre uguale a se stesso; tutto ciò che ci sveglia dal sonno di questa realt à ha a che fare con il reale. In questo senso il reale d à voce al soggetto e si pone come rottura di una continuit à ; è una ‘ faglia' che rompe proprio il quadro della realt à , pertanto irriducibile a interpretazione. Il reale è un ‘ trauma ' (per rimanere nei termini lacaniani del discorso).
crediti fotografici di: Carolina Falina
Come si inserisce la Memoria nello scompaginamento della realtà rispetto al reale?
Dal mio punto di vista, in riferimento ad un dato di realt à , la memoria agisce come evocazione di qualcosa che è assente (o per dirla in altri termini di qualcosa che è invisibile) - proprio ‘adesso' - nel momento della sua rivificazione. Questa prospettiva è radicalmente opposta, anche in riferimento ad un evento scenico, alla sola invenzione di qualcosa che invece non c'è mai stato, la cui affermazione renderebbe la realt à osservata una mera rappresentazione. Perciò se ragioniamo in termini di memoria, considerando la sua proiezione verso qualcosa che è passato, solo una visione integrata delle narrazioni soggettive di quegli eventi (anche nel caso di eventi- pretest o, come nel caso di Present Continuous ) può fare emergere una narrazione più ampia e sfaccettata. In Present Continuous , per esempio, mi interessava proprio un approccio, anche nella composizione coreografica, che non cercasse di oggettivare l'esperienza condivisa utilizzata come pretesto ma che puntasse all'integrazione dei punti di vista e della memoria particolare di ciascun performer.
Le sequenze motorie ‘imitabili' che costituiscono il corpus di Present Continuous quanto scoprono le ‘sporgenze scabrose' nascoste dal velo di realtà che di fatto tenderebbero proprio a neutralizzare la complessa fisionomia del reale?
Il tipo di sporgenza a cui probabilmente ti riferisci implica necessariamente una forma di esposizione che, nel mio caso, si manifesta in maniera paradossale attraverso la ripetizione. Il soggetto di Present Continuous (in questo caso ognuno dei performer), ad esempio, non potrebbe mai nascondersi dietro la struttura seriale e le reiterazioni del gesto che compongono la performance. Questo mi sembra un altro passaggio nodale nell'analisi di questo lavoro. Per fare un parallelismo con qualcosa di più noto il mio procedimento è opposto a quello della Pop-art dove il soggetto era nascosto o disintegrato nella moltiplicazione del segno. Nella mia idea di ripetizione del movimento c'è una ricerca di quello che Roland Barthes ne La camera chiara chiamava ‘ punctum', ovvero un elemento, un dettaglio, anche piccolo, che partendo dalla scena che sto osservando mi trafigge. Mi piace pensare che nella serialità che proponiamo (soprattutto di gesti non straordinari e per questo ‘imitabili') ognuno possa cogliere proprio il ‘suo' punctum . Il carattere separativo tra realt à e reale di cui parlavo prima trova in questo un riscontro tangibile: nella progressione dell'uguale la piega del soggetto irrompe come una deflagrazione rispetto all'oggetto. Quindi, come hai specificato tu, come una ‘sporgenza scabrosa'.
crediti fotografici di: Isabella Gaffè
Quanto ritieni sia importante, oggi, agire sulla Memoria per dare un senso al reale?
Ritengo sia di vitale importanza. La Memoria ha per me un valore aggregativo e comunitario, oltre che etico. Credo che la sua funzione sia quella di richiamare ad una responsabilit à individuale i singoli soggetti capaci di esercitarla. In questo senso la Memoria implica un atto comunicativo soprattutto nel passaggio da una memoria comune degli eventi ad una memoria condivisa (come detto prima), la quale si basa sul posizionamento dell'individuo che, inevitabilmente, conserva l'esperienza di un determinato evento dal punto di vista del tutto particolare e soggettivo dal quale lo ha osservato o vissuto. Ora, una semplice somma di ricordi definisce un territorio comune della memoria, ma questo livello di compresenza delle singole esperienze a mio avviso non è sufficiente; è necessario che si attivi un processo di integrazione dei punti di vista a partire da quelle ‘protuberanze' del soggetto - come dicevamo prima - rispetto al quadro della storia. Dunque a partire dalla sua quota di ‘reale'.
Present Continuous di Salvo Lombardo / Chiasma di Stefania Chinzari
Soggetto, ausiliare to be declinato al presente e participio presente del verbo + ing.
I am writ-ing… Scrivo, sto scrivendo… Adesso? Adesso. Ma non solo (o non proprio) esattamente ora; può darsi che io scriva un libro, dunque da qualche tempo e per qualche tempo. O che mi risolverò infine a scrivere domani all'ufficio reclami del nuovo gestore telefonico.
Il Present Continuous, croce e delizia della grammatica e della forma mentis britannica, è così: slitta impercettibilmente nelle categorie del tempo a noi prossime, sfocandone i contorni. È un presente che affonda nel passato, si realizza nel qui e ora, implica uno slancio verso il futuro. È una freccia che presuppone non tanto l'arco che l'ha scagliata quanto il bersaglio che l'attende, mentre la cogliamo nel tragitto della sua corsa. La traiettoria, il tiro, l'arrivo sono fondamentali: nel Present Continuous c'è una componente di senso rilevante che attiene alla programmazione, all'intento, alla volontà.
crediti fotografici di: Paolo Porto
Per me, basterebbero queste poche considerazioni a leggere con grandissimo interesse tra le righe del Present Continuous di Salvo Lombardo e della compagnia Chiasma, presentato a Short Theatre 12 a Roma, ma concepito in seno al Festival Oriente Occidente (di cui Lombardo è artista associato), dove ha debuttato ai primi di settembre, e coprodotto con Versiliadanza. Perché mi intriga, come i film di Christopher Nolan e mi appassiona come a suo tempo le speculazioni di Gilles Deleuze. Perché nel titolo, in nuce, c'è non solo la dichiarazione di un nuovo capitolo artistico nella personale e assai talentuosa ricerca del coreografo-regista-performer Lombardo sul rapporto tra realtà, percezione, tempo, ma anche la riflessione filosofica e antropologica sugli inganni e gli inneschi perpetrati dalla memoria-tempo alla psiche, dal soma all'anima, dall'essere di quel to be al volere essere che ci attanaglia.
Qualcosa. Qualcuno. Nessuno.
Dunque, bene ha fatto Fabrizio Arcuri ad ospitare Present Continuous nella edizione numero 12 di Short Theatre, indagine sul panorama emergente e luogo di incontro tra artisti, operatori e cittadini in una Roma sempre più devitalizzata: il ‘pretesto cinetico' di Lombardo & Co. si accomoda a pieno diritto nella chiave di lettura scelta quest'anno da Arcuri: Lo Stato Interiore , tentativo di riflessione in cui si affanna questo nostro presente già mutato, prigioniero di enti passati che non hanno il coraggio di abdicare a loro stessi, depositario di un futuro che a fatica riusciamo a comporre, ad immaginare.
crediti fotografici di: Paolo Porto
Lo spazio è assoluto e vuoto, come quello di Casual Bystanders o di Twister, incorniciato a terra da un perimetro di neon rosso e tagliato da lame di luci che giocano con la polvere a creare marmorizzazioni aeree, mentre le ombre nette dei quattro danzatori si stagliano sul fondo. In un angolo, un bancone bianco e luminoso dove andare a riprogrammare la musica, dove ci si ritrova a bere un drink, a riprender fiato, a rimorchiare: siamo in un music club e Lucia Cammalleri, Daria Greco (co-coreografa), Cesare Benedetti e lo stesso Salvo Lombardo questo ring-discoteca lo camminano, lo attraversano, lo strisciano, lo battono e lo sudano per 50 minuti di perfetto, apollineo sincronismo di gesti danzati e desolata afasia dionisiaca di relazioni fugaci e stereotipate.
È un pulsare continuo, sottolineato dal pompare della musica techno, tra voglia e fallimento, vita organica e meccanizzazione del gesto, automazione solitaria e serialità universale. Una disperata vitalità.
Singoli, a coppie, a piccoli stormi, i quattro performer si trovano e si perdono, si copiano e si ignorano, senza mai smettere un istante di ‘danzare', di battere il tempo, di cavalcare il ritmo. Per realizzare la coreografia, hanno osservando e imitato persone reali nei locali, ne hanno immagazzinato gesti, movenze e sequenze che ci consegnano in un crescendo di atti motori depurati eppure anche imbevuti di emorie personali: tic, curve, rotazioni, posture del ‘ballarsi sotto' descritte da brevissimi inserti audio che il beat incessante della base musicale trasforma in movimenti immediatamente condivisibili e trasportabili, oltre il tempo, oltre il proprio corpo..
E infatti, a sorpresa, ecco nella scansione ipnotica e trascinante, scartavetrata e compulsiva della techno, rapidi inserti tribali, il pathos di Prokofieff e persino una mazurka di Casadei imperturbabilmente danzati ‘alla disco', perché quei gesti che il corpo ri-produce altro non sono che segni prossemici del nostro tempo, pattern riproducibili all'infinito, icone umanizzate di un mondo (davvero così fluido?) in cui tutto, affetti e lavoro, Shakira e il volo degli uccelli, è digitalizzabile, binario, predeterminato e invariabile. La danza e l'umano al tempo della iproducibilità tecnica.
crediti fotografici di: Paolo Porto
Anche l'esperienza di Present Continuous è binaria. Esci da quell'onda perfetta di sonorità irresistibile e hai una gran voglia di metterti a ballare (illuso di essere naturalmente bravo come i quattro…), ma ecco, pian piano, ti si innesta un disagio intimo, come la polvere che alla fine dello spettacolo ristagna sul ring al pari di una impalpabile nube tossica. Affiorano muffe, domande insidiose sulla realtà, su questo dannato presente progressivo che sempre meno muoviamo e sempre più ci muove, in cui la nostra volontà fatica a non evaporare e la memoria a non tradirci, continuously condamned a sentirci esseri derivativi, suffissi di trasformazioni successive di cui non siamo agenti, ballerini sulla scacchiera che del tempo ha perso, prima di ogni cosa, il senso e il valore del Presente.
crediti fotografici di: Sarah Melchiori
Present Continuous
ideazione, coreografia e regia Salvo Lombardo
performance Cesare Benedetti, Lucia Cammalleri, Daria Greco, Salvo Lombardo
collaborazione coreografica Daria Greco
disegno luci Loris Giancola
elaborazioni sonore Fabrizio Alviti
Short Theatre, Roma, 15 settembre 2017 |