RIFLESSIONI SU UN NUOVO ABRAMO
di Carlo Dilonardo
Abramo è il titolo dell'interessante testo teatrale scritto dal filosofo calabrese Ermanno Bencivenga. Un racconto dedicato al patriarca descritto in tre intensi atti e che rivolge al lettore-spettatore varie domande sul senso della fede e sull'idea che l'uomo ha del proprio dio. Infatti, con grande spirito provocatorio, Bencivenga fa compiere il gesto estremo ad Abramo, controvertendo “addirittura” quanto accade nella narrazione biblica in cui, come è noto, Dio mette alla prova il patriarca invitandolo ad andare sul monte Moriah per sacrificare suo figlio Isacco, ma l'apparizione di un angelo lo aiuta a fermarsi in tempo. L'uccisione di Isacco nella narrazione del filosofo – tra l'altro – viene compiuta nei primi momenti del dramma e ritengo che questo sia l'elemento più avvincente il cui fine non è quello di far sapere allo spettatore come sarebbe andata se…, ma piuttosto quella di porre quesiti fondamentali e quanto mai attuali.
Ci si chiede, in sostanza, dove finisce la religione ed inizia la violenza (in nome di essa)?

Sono gli stessi protagonisti a far riflettere su questo tema; emblematico lo scambio di battute tra Abramo e sua moglie Sara che, sconvolta, chiede spiegazioni sull'uccisione del figlio da parte di quel padre e soprattutto pretende chiarimenti sulla fiducia che Abramo ha incondizionatamente posto nelle parole dei tre (sconosciuti) viandanti che si sono presentati per esporre la proposta di Dio Sara. […] tu credi quel che ti pare, e lo rendi vero credendoci, in nome di questa fede tagli la gola di tuo figlio, fai fuggire la vita dalle sue vene! Non ti rendi conto che è una follia, che per credere ci vogliono dei motivi, che non c'era nessun motivo di credere a quei disgraziati?
Abramo. Se ci fossero dei motivi, non sarebbe fede. Tu non ne hai, quindi non puoi capire.
In nome della fede tutto è permesso, tutto è consentito. O forse no. Quando, alla fine del terzo atto, i tre viandanti tornano per capire se Abramo li ha ascoltati, sono proprio i viandanti-mandanti a farlo riflettere:
Secondo viandante. […] Altre persone si presenteranno in nome di Dio e chiederanno massacri, torture, sventramenti e decapitazioni. […] Non si può fare la volontà del Signore muovendosi come sonnambuli, evitando di pensare. Il Signore ci chiede attenzione ed eroismo […]
Ma dove inizia o finisce la colpa di Abramo?
Se ci attenessimo a quanto sostenuto dal filosofo Søren Kierkegaard in una delle sue più importanti opere ovvero, Timore e tremore, dovremmo sostenere che Abramo, altro non ha fatto che eseguire con grande spirito di sacrificio quel comando ricevuto da Dio. Kierkegaard, nella sua opera, sosteneva che l'etica religiosa mostrata da Abramo fu superiore a qualsiasi altro tipo di etica, soprattutto di quel tempo che avrebbe voluto il parere anche della mamma di Isacco, delle persone vicine al buon padre di famiglia.
L'omicidio, in generale ma in particolare quello dei figli, anche se sacrificale, oltre che da Dio, era condannato dalla società di cui faceva parte AbramoAbramo, quindi, si fida della fede: se Dio comanda, si esegue.Il testo di Ermanno Bencivenga fa riflettere, analizza con estremo spirito critico la nostra realtà: una realtà creata da tremende notizie e strazianti immagini di uomini uccisi da altri uomini in nome di un dio.
E allora la domanda che si fa chi scrive e che provocatoriamente rivolgo ai lettori di Liminateatri è: ma davvero un “uomo in terra” (sia esso prete, imam o semplice laico) può colloquiare veramente e direttamente con Dio e, soprattutto, autoproclamarsi suo “portavoce”? Ai lettori di LiminaTeatri l'ardua sentenza…
Intanto, informiamo gli stessi che il testo drammaturgico in questione è allo studio di una messa in scena con la regia di Teresa Ludovico per Teatri di Bari.
Abramo
di Ermanno Bencivenga
Nino Aragno Editore, Torino 2014
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