Sorelle Materassi
di Giorgio Taffon
Nell'assistere alla prima presso il Quirino di Roma di Sorelle Materassi , dal romanzo di Palazzeschi (Giurlani), libero adattamento del toscano Ugo Chiti, regia di Geppy Gleijeses, ho pensato alla riforma goldoniana, in particolare alla sua poetica delle commedie di carattere e commedie d'ambiente . Nello spettacolo tratto dal romanzo palazzeschiano credo di poter dire che, in modi espressivi del tutto attualizzati, si assiste all'incrocio proprio tra commedia di carattere e quella d'ambiente. Lo stesso regista, molto opportunamente, si chiede nelle Note di regia a quale sottogenere drammaturgico ascrivere il testo di Chiti tratto appunto dal fortunato romanzo che il narratore e poeta fiorentino pubblicò nell'ormai lontano 1934. E giustamente Gleijeses coglie e gusta il cocktail di succhi che il Palazzeschi filtrò nelle sue pagine: dal paradossale al grottesco, dall'ironico allo strapaesano e stracittadino, dall'elegia di stampo se vogliamo cechoviano al sentimentale e al bozzettistico, per giungere ad affrontare registicamente comunque un testo essenzialmente riferibile alla commedia, essendo poi il finale positivo seppur virato all'amarezza esistenziale delle tre sorelle impoverite ma salve nella loro dignità.
Il fatto è che lo stesso Palazzeschi nelle diverse fasi del suo lavoro scritturale ha fortemente dato un taglio ironico e sbeffeggiante, ma anche lieve e inconsistente (si pensi a Perelà), alle sue opere, rinunciando a tesi moraleggianti, sociologiche, intellettualistiche. Senza il minimo dubbio, nel romanzo del '34, già dal titolo si sa che la storia ha come protagoniste assolute le tre sorelle Materassi, Teresa Carolina e Giselda, alle quali si aggiunge l'amato ammirato desiderato nipote Remo, rimasto orfano di una quarta sorella e da loro di fatto adottato e cresciuto. Personaggio fiancheggiatore del nucleo familiare è Niobe, la fidata domestica. Il trio si rende teatrabile e teatrale proprio nel momento in cui vengono evidenziati al massimo i singoli caratteri, il loro intrecciarsi, la loro relazionalità e il loro rapporto con lo sfaticato ed egoista nipote, dal quale soprattutto Carolina e Teresa, sono soggiogate, irretite, sottotestualmente innamorate. Buon gioco ha il regista conducendo questa danza dei caratteri in modo sagace, cioè creando momenti di forte ilarità, altri di melanconia, altri ancora di paradossale inventività, specie per quanto riguarda Teresa, dalla tempra quasi mascolina e dominante, e Carolina, anziana donna tutta presa dal lavoro di sarta e sempre arrendevole e timidamente succube del bellissimo nipote. Per quanto riguarda Giselda ci troviamo davanti ad un personaggio di donna degli anni Trenta con alle spalle un matrimonio fallito, una continua voglia di recriminazioni verso chiunque, e col tormento di disturbi psicosomatici. Bravissime le tre attrici, rispettivamente Lucia Poli, Milena Vukotic, Marilù Prati, che sanno pigiare il pedale delle debolezze umane, delle speranze esistenziali, delle attese di felicità, della necessità di salvare una dignità sociale messa in pericolo da un nipote a cui non sanno rinunciare, rappresentando, evidentemente, simbolicamente tutta la parte degli affetti e degli amori che la vita non ha loro concesso. A volte rischiano la caricatura, ma è cosa così negativa? O piuttosto non è il segno di voler ‘caricare' di interesse e mettere ben in rilievo il proprio personaggio, anche con l'aiuto di una sempre ben misurata regia? Non si dimentichi, poi, che il Palazzeschi lungo il primo decennio del secolo XX° aveva frequentato i corsi di recitazione della scuola T. Salvini di Firenze diretta dal grande Rasi. E la scuola del teatro, dichiarava spesso il Nostro, resterà per lui anche scuola di vita. Il gusto del e per il personaggio, più che la vicenda e la trama, lo interessarono. Se un appunto lo si deve proprio fare, circa l'allestimento da me visto, è quello di un Remo reso da Gabriele Anagni in modo troppo per così dire squadrato, scenicamente reso senza molti chiaroscuri: forse occorreva un'impostazione di questo personaggio più scaltra, rendendolo più ‘leccone', magari un po' più falso, nonostante la sua incoscienza egoistica nel dilapidare il patrimonio delle care zie. Mentre davvero efficace è la resa di Sandra Garuglieri che tocca vette notevoli di comicità nel caratterizzare la sua fantesca Niobe.
Della commedia d'ambiente giustamente il Chiti, nel suo libero adattamento dal romanzo palazzeschiano, ha saputo rendere una parlata basata sull'italiano standard ma infiorettata di piacevolissimi toscanismi che la rendono vivace ed espressiva: è linguisticamente, insomma, che esce fuori l'ambiente fiorentino, evitando scenograficamente una datazione troppo scoperta e facile. Ma anche alcuni riferimenti sottili alla musica e al personaggio di Puccini, assicurano un intramontabile clima storico-artistico che il nostro pur provinciale mondo antropologico e sociale ha saputo offrire giungendo fino a noi. Se vogliamo, in fin dei conti, si assiste per via di fantasia scenica ma senza contraddire o dimenticare il testo di provenienza, ad uno spettacolo lieve come una favola, o come un lontano ricordo che le nostre nonne hanno forse condiviso a loro modo con le tre sorelle Materassi!
Sorelle Materassi
libero adattamento di Ugo Chiti dal romanzo di Aldo Palazzeschi
con Lucia Poli, Milena Vukotic, Marilù Prati
e con Gabriele Anagni, Sandra Garuglieri, Gian Luca Mandarini, Roberta Lucca
regia Geppy Gleijeses
scene Roberto Crea
costumi Ilaria Salgarella, Clara Gonzalez, Liz Ccahua
coordinate da Andrea Viotti
luci Gigi Ascione
musiche Mario Incudine
foto Tommaso Le Pera
Teatro Quirino, Roma, fino al 3 dicembre 2017
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