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Spaccanapoli Times

di Carlo Dilonardo

 

Quattro fratelli, Gabriella, Gennara, Romualdo e Giuseppe Acquaviva si ritrovano nella loro casa di Via Spaccanapoli dove hanno condiviso gioie e dolori, sin dalla più tenera età. Una strada emblematica quella scelta da Ruggero Cappuccio che dà il titolo allo spettacolo: una via solco della città partenopea che diviene, nel testo, il simbolo di quella divisione tra ragione e follia, ben esplicata nella messa in scena. Giuseppe ha voluto riunire i suoi fratelli per un qualche misterioso e, forse inesplicabile, motivo. Fratelli e sorelle, uniti da problemi di natura psichica, una “comune passione”, e che tornano a parlare tra loro, chiusi nelle mura di quell'appartamento. Mura che lo scenografo Nicola Rubertelli realizza intarsiando migliaia di bottiglie di plastica, rese “vive” dall'efficacissimo disegno luci di Nadia Baldi che il buon Giuseppe, interpretato da Ruggero Cappuccio che è anche autore e regista, tratta come se fossero vini pregiati. È esilarante e al contempo folle, per questo motivo drammaturgicamente e scenicamente interessante il modo in cui quest'acqua viene offerta ai richiedenti: ognuna di quelle bottiglie, di quelle acque ha un'annata di riferimento, neanche si trattasse di vini pregiati e introvabili. L'acqua diventa, probabilmente, simbolo di un tempo segnato, ma non ben identificato, come gli orologi che i quattro protagonisti hanno e che ciascuno legge con un orario diverso. Sarà forse un caso o è sintomatico del tempi in cui ciascuno di loro vive la propria realtà (o la propria follia)? Ogni bottiglia sollecita la memoria, è un ricordo legato a quelle menti così confuse, così stravolte dalle loro identità rovinosamente cadute in atti schizofrenici e patologici. Tuttavia, questa loro condizione favorisce il mantenimento della pensione di invalidità, quelle meravigliose 700,00 euro cui aggrapparsi con tutte le forze che restano, anche quelle sovra-umane, o meglio, oltre-umane. È con queste premesse che lo spettacolo di Cappuccio diventa di grande interesse, suscitando curiosità nella stessa stesura drammaturgica e più prettamente teatrale: un filo narrativo che sembra offuscato ma che in realtà vuole essere così. Così precisamente con-fuso di elementi, sfugge a logiche di intreccio strutturato e Cappuccio riesce benissimo in questo, portando in scena le capacità attoriali davvero impressionanti di tutti gli interpreti. A mio avviso, tuttavia, ne esce particolarmente vincente Giovanni Esposito che, se da una parte, ha sembianze simili al Cico di salemmiana memoria in …E fuori nevica! , dall'altra ha una dirompente forza interpretativa individuale dovuta al suo modus ‘interpretandi' , tanto da sembrare una trasformazione umana e realizzata della Super-Marionetta di Craig. Una drammaturgia avvincente, una regia essenziale, curata, con una sua identità, in cui gli attori ancor prima che la mente fanno danzare il corpo. Per fortuna! Un testo altrettanto interessante dotato di venature beckettiane abbandonate al gusto dell'assurdo del teatro, che poi altro non è che una faccia capovolta della realtà.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spaccanapoli Times

testo e regia Ruggero Cappuccio
con Giulio Cancelli, Ruggero Cappuccio, Ciro Damiano, Giovanni Esposito, Gea Martire, Marina Sorrenti
scene Nicola Rubertelli
costumi Carlo Poggioli
aiuto regia e disegno luci Nadia Baldi
letture sonore Marco Betta da  La forza del destino  di Giuseppe Verdi
produzione Teatro Stabile Napoli

foto Marco Ghidelli

Teatro Verdi, Salerno, fino al 9 aprile 2017