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Sweet Home Europa

di Letizia Bernazza

Domenica 19 aprile, mi sono recata al Teatro India di Roma per partecipare allo spettacolo diretto da Fabrizio Arcuri Sweet Home Europa .

Dentro di me conservavo ancora il dolore provato per le notizie battute dalle agenzie di stampa e rese note da tv e giornali sulla strage dei migranti consumata al largo della Libia: morti in mare tra 700 e 900 esseri umani, soltanto 28 superstiti. Una tragedia. Forse la più grande di sempre.

Il breve tragitto, che separa la mia casa dal teatro, si trasforma in un groviglio informe di pensieri, riflessioni, rabbia, tristezza, dispiacere. Il titolo Sweet Home Europa risuona nella mia mente e nella mia anima come un crudo ossimoro. Mi chiedo: quale è la posizione dell'Europa rispetto a un'emergenza umanitaria così incombente? E noi cittadini come reagiamo? La solidarietà espressa da molti, vale a compensare l'indifferenza e il razzismo manifestati da tanti altri nei confronti di uomini, donne e bambini in difficoltà che fuggono dai loro Paesi d'origine per rivendicare il sacrosanto diritto a vivere?

Poco dopo l'inizio dello spettacolo, mi acquieto improvvisamente. Le tante domande che mi ero posta è come se mi avessero chiesto una pausa, una tregua. Soltanto quando vado via, mentre il gazometro si staglia imperioso di fronte a me illuminato dalla fioca luce della luna, capisco il perché. Sweet Home Europa ha il valore di una storia universale che, attraverso l'efficacia della drammaturgia di Davide Carnevali e della rigorosa regia di Fabrizio Arcuri, restituisce l'atmosfera, il climax , di un <<racconto originale, e originario sulla costituzione culturale e politica di un territorio e sulle sue potenzialità, e impossibilità, di integrazione umana e sociale>>. Le parole citate, riportate nel programma di sala, traducono perfettamente l'essenza della scrittura scenica di Sweet Home Europa , che comunica la disfatta e il declino di un'intera civiltà - ormai consumata da endemiche contraddizioni politico-sociali – senza, però, mettere gli attori e gli spettatori nella condizione di seguire una narrazione contrassegnata dalla linearità e dallo sviluppo logico. E non potrebbe essere altrimenti. Quando si sfaldano i legami privati e collettivi, con il conseguente impoverimento delle relazioni intersoggettive, quando a fare da sfondo non c'è un habitat vitale, ma un non-luogo popolato di macerie (da cui, ad essere ottimisti, potrebbe nascere un nuovo Eden), la scena drammatica trasgredisce la realtà oggettiva e annulla la dialettica interpersonale. Alla base dell'impianto dello spettacolo c'è, infatti, la scelta di una forma volutamente sconnessa, disorganica, dove il ritmo della storia è contrassegnato da dodici quadri - dodici apparizioni-sparizioni di incredibile poesia – animati da tre non-personaggi (Un uomo, Una donna, Un altro uomo), i quali si rendono protagonisti di singole vicende private che, tuttavia, non restano tali, non si lasciano confinare nella “specificità” di un racconto definito, ma straripano dentro gli argini fragili di una comunità alla ricerca delle proprie radici e dei propri valori . Mentre partecipo a Sweet Home Europa , provo a non trascurare nulla e, soprattutto, non dimentico il sottotitolo della messinscena: Una genesi . Un esodo . Generazioni . L'origine dei conflitti è atavico, risiede nello scontro generazionale (padri-madri-figli), nel contrasto tra sessi (uomo-donna) o in quello politico-sociale (nel caso specifico, l'opportunità o meno di individuare nell'Europa un centro di comune appartenenza). Qual è il significato di un possibile esodo? Andare dove, come, perché? Per i più giovani, esistono le basi di un dialogo con le generazioni che li hanno preceduti? E, soprattutto, per i tanti popoli in fuga, possiamo immaginare una società civile in grado di accoglierli e di avviare progetti seri di integrazione? L'Europa è una casa o <<un lembo di terra sull'orlo del precipizio?>>.

Quei resti di “paesaggi rotti” (nella suggestiva ideazione scenica di Andrea Simonetti) che fanno da sfondo alla sala del Teatro India avvolta all'inizio da un fumo denso non fanno presagire nulla di buono. Come, d'altronde, i rumori assordanti provocati da pezzi di muro che cadono dall'alto e si schiantano violentemente al suolo. Di fronte a noi, una sorta di spazio terremotato, frantumato, colmo di detriti. Uno scenario apocalittico. Gli unici elementi su cui sembra scorrere la “vita” dei personaggi sono due binari, funzionali alle entrate e alle uscite degli attori, risucchiati – tuttavia - dopo ogni loro intervento, dentro buie gallerie. Sembrerebbe, dunque, non esserci scampo. Eppure, non è così. La meticolosa e bella regia di Fabrizio Arcuri si intreccia armonicamente con il testo di Carnevali, facendo propria la mordace ironia del drammaturgo e la sua maestria nell'ideare un insieme equilibrato di immagini poetiche, di metafore, di slittamenti linguistici, che allentano la tensione e illuminano, come un raggio di sole, le ferite aperte delle contraddizioni politiche, sociali ed economiche della nostra contemporaneità. Le lunghe e liriche tirate sul rituale apotropaico, nato per scongiurare gli influssi negativi e per tenere a distanza il Male, le battute ironiche “dette” per bocca di un branzino o di una zucca, funzionano da dispositivo straniante. Invitano a riflettere con sano umorismo sui corsi e ricorsi della Storia, sul passato che grava sul presente, sulle scelte di pochi che pesano sul “naufragio”, simbolico e reale, di molti. La complessità del tema trattato è come se venisse contaminata da una costruttiva leggerezza, che ha il pregio di entrare dentro lo spettatore e scuoterlo, invitarlo a porsi domande, stimolarlo a divenire parte attiva di una comunità che ha bisogno di conoscere i suoi stessi limiti per non precipitare nell'abisso dell'indifferenza. Bravi e incisivi i tre attori: Matteo Angius, Michele Di Mauro e Francesca Mazza. Credo non sia stato semplice per loro calarsi nei panni di tanti personaggi dalle differenti fisionomie. Eppure, ci sono riusciti egregiamente. Sublimi gli interventi musicali di Davide Arneodo e Luca Bergia (quest'ultimo uno dei componenti del gruppo Marlene Kuntz) cui ha fatto eco la potente e icastica vocalità dell'artista NicoNote.

 

Sweet Home Europa

di Davide Carnevali

regia Fabrizio Arcuri

con Matteo Angius, Michele Di Mauro, Francesca Mazza

musiche e canzoni composte e eseguite dal vivo da Davide Arneodo, Luca Bergia (Marlene Kuntz) e NicoNote

ideazione progetto scenico Andrea Simonetti

sculture sceniche esplosive Riccardo Dondana, Enrico Gaido (3tolo esplosive design)

assistente alla regia Francesca Zerilli

Teatro India, Roma, 11- 26 aprile 2015

 

foto: @Valeria Tomasulo